Siria: ancora scontri ad Aleppo. Pressing di Ue e Usa su Assad
In Siria quinto giorno di cruenti combattimenti nella città di Aleppo tra esercito
di Damasco e milizie dell’opposizione. Intanto si aggrava il dramma umanitario dei
civili che fuggono dalle violenze nei Paesi confinanti, mentre la comunità internazionale
analizza la situazione nell’imminenza di nuove prese di posizione. Il presidente americano
Obama esorta i partner europei a collaborare per fare pressione sul presidente Assad.
Il servizio di Marina Calculli:
La crisi siriana
sta coinvolgendo la comunità internazionale e in particolare i Paesi limitrofi a Damasco.
La Turchia è uno di quelli che potrebbe avere un ruolo decisivo nello sviluppo delle
vicende siriane. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Camille Eid, esperto
di Medio Oriente del quotidiano “Avvenire”:
R. – Sappiamo
che il ruolo di Ankara è essenziale in ogni coalizione anti-Assad. Innanzitutto, per
i lunghi confini tra la Turchia e la Siria e poi perché le zone controllate dai ribelli
sono vicinissime a questo confine siro-turco e quindi eventuali aree di sicurezza
saranno istituite proprio in quelle zone. Quindi, l’attacco contro il cuore del potere
si giocherà a partire dalla Turchia, anche perché il Consiglio nazionale di transizione
siriano ha come principale base all’estero la città di Istanbul. Anzi, sono molti
che l’accusano di essere influenzato dai servizi di sicurezza o dai miliari turchi. D.
- Sono legittime le proteste della Siria che sta accusando i Paesi limitrofi di inserirsi
in una situazione che, secondo Damasco, rientra nella propria sovranità? R. - E’
un’accusa infondata, in quanto la stessa Siria, quando era potente, è sempre intervenuta
negli affari interni dell’Iraq, del Libano, della Turchia, della Giordania, e non
si è mai tirata indietro. Adesso è chiaro che questi Paesi, dalla loro, si proteggono,
ma la mia impressione è che essi, almeno la Giordania e il Libano, hanno cercato fino
all’ultimo di tenersi alla larga da quanto stava e sta tuttora accadendo in Siria,
limitandosi all’accoglienza dei profughi. Tuttavia, è chiaro che, loro malgrado, rimangono
coinvolti. Sappiamo ad esempio che in Libano le tensioni tra alawiti e sunniti riflettono
una guerra civile o confessionale in atto in Siria. Lo stesso vale per l’Iraq. Il
governo centrale iracheno ha cercato di mandare le truppe al confine per limitare
il flusso dei profughi ed è stato impedito dal governo autonomo turco. Quindi, quando
un Paese vive un evento bellico, tutti i Paesi circostanti cercano in qualche maniera
di proteggersi, ma non possono non risentire dell’impatto. D. – Il Libano è uno
dei Paesi storicamente sotto l’influenza siriana. Quali conseguenze ci possono essere
per Beirut da questa situazione? R. - Ultimamente un coinvolgimento viene paventato
molto spesso. Speriamo che questo non avvenga. Il Libano cerca di fare del suo meglio,
ma sappiamo che è ancora sotto l’influenza siriana, perché il governo attuale è molto
vicino alla Siria, vi partecipano i filo siriani Hezbollah e anche partiti che sono
considerati vicini ad Assad. D. - Poi c’è Israele: sembra che lo Stato ebraico
stia recitando un ruolo di secondo piano in una situazione che invece lo riguarda
molto da vicino... R. – Ultimamente Israele ha evidenziato il rischio che le armi
chimiche o batteriologiche siriane siano trasferite a Hezbollah in Libano. Quindi,
finché si tratta di un conflitto all’interno della Siria, Israele rimane a guardare,
anzi forse gli conviene che il regime di Bashar al Assad continui a impegnarsi in
questa guerra civile, perché questo indebolisce il governo centrale, ma alla fine
Israele interviene quando invece questo conflitto supera i confini siriani per andare
a minacciare la sicurezza di Paesi limitrofi, soprattutto la sua sicurezza.