Congo: più di 100mila alla “marcia della speranza” per dire no alla divisione del
Paese
“Troppi morti in Congo”, “No alla balcanizzazione del Paese”: sono alcuni degli slogan
scanditi da più di 100.000 cristiani che nei giorni scorsi a Kinshasa hanno marciato
per la pace nell’Est del Paese, teatro di una nuova crisi alimentata dalla ribellione
del Movimento del 23 marzo (M23), costituita ad aprile da militari disertori. La manifestazione
si è svolta nella calma in conclusione di tre giornate di preghiera indette dalla
Conferenza nazionale episcopale del Congo (Cenco). I fedeli sono partiti dalle rispettive
parrocchie dopo la Messa mattutina e hanno attraversato le principali arterie della
capitale per raggiungere le 14 ‘parrocchie madri’ di Kinshasa dove si sono svolte
preghiere conclusive. Un altro corteo di cristiani si è svolto senza difficoltà anche
a Bukavu, capoluogo della provincia del Sud-Kivu (est). A Goma, capitale della provincia
del Nord-Kivu, la coalizione delle donne leader di tutte le confessioni religiose
hanno invitato il popolo congolese a “unire gli sforzi per adoperarsi in modo coerente
e unitario in una lotta salvatrice per tutti” riferisce l’emittente locale ‘Radio
Okapi’. A Kisangani, Provincia Orientale, in un incontro interreligioso organizzazioni
della società civile hanno lanciato un appello a favore della “conversione del Rwanda
e dei suoi dirigenti affinché scoprano nel Congo e nei congolesi un fratello o una
sorella da amare e non da aggredire”. Rapporti dell’Onu e di diverse organizzazioni
non governative hanno denunciato il coinvolgimento di Kigali nella nuova ribellione
insorta nel Nord-Kivu alla quale fornisce uomini e sostegno logistico. Sul terreno
i ribelli del movimento “M23”, sostenuti secondo Kinshasa dal Rwanda, continuano ad
avanzare verso Goma, nella ricca regione mineraria del Nord Kivu. L’esercito congolese
regolare non riesce a tenere le sue posizioni. Solange Pinilla ha chiesto a
padre Léonard Santedi, segretario della Conferenza episcopale nazionale del
Congo, di parlarci della situazione del Paese e dei motivi di questa “Marcia della
speranza”:
R. – Ce pays, nous l’avons reçu en héritage, et il y a aussi la
loi qui reconnait … Noi abbiamo ricevuto questo Paese in eredità, e poi c’è anche
la legge che riconosce a questo Paese il suo territorio. E’ il territorio riconosciuto
dalla nascita della Repubblica Democratica del Congo: noi siamo un unico popolo e
quindi se c’è una parte della popolazione che soffre i tormenti della guerra, è necessario
che tutto il popolo sia sensibilizzato e deve mobilitarsi per difendere questo suo
territorio, che è il nostro patrimonio! Ne va quindi dell’unità del popolo congolese
e del rispetto delle leggi internazionali sull’integrità del territorio della Repubblica
Democratica del Congo.
D. – Come è stata organizzata la marcia del primo agosto?
R.
– Au niveau de la Conférence épiscopale, une lettre a été à chaque évêque … A livello
della Conferenza episcopale, è stata inviata una lettera a ciascun vescovo per prendere
le iniziative necessarie con il clero e i laici. Le posso dire, ad esempio, che per
quanto riguarda l’arcidiocesi di Kinshasa, la marcia si svolge nel decanato. Il decanato
è un raduno di circa otto-nove parrocchie, nel quale si riuniscono i fedeli per poi
dirigersi ad un luogo indicato, in particolare alla chiesa a cui il decanato fa capo.
Quindi, i fedeli vi si recano camminando e recitando delle preghiere e cantando; una
volta arrivati, si recita una preghiera, si osserva un minuto di silenzio, ci si scambia
il segno della pace con la benedizione finale per tutti. C’è anche una colletta, il
cui ricavato sarà utilizzato per aiutare tutte le persone vittime di questa guerra.
D.
– Quali sono le vostre altre iniziative in favore della pace? E’ in atto una campagna
di sensibilizzazione …
R. – Il y a donc déjà, au niveau de la présidence de
la Conférence épiscopale … A livello della presidenza della Conferenza episcopale
del Congo sono stati presi contatti, sul posto, sia con l’Unione Europea sia con diverse
ambasciate; questi contatti saranno approfonditi con degli incontri al fine di sensibilizzare
le istanze internazionali; contatteremo anche il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite, nonché il segretario generale delle Nazioni Unite ed i governi di alcuni Paesi
amici.