Siria: ancora scontri ad Aleppo. L'opposizione pensa ad un governo in esilio
L'opposizione siriana darà vita a un governo in esilio: lo ha annunciato al Cairo
uno dei più noti dissidenti e attivisti per i diritti umani del Paese, l'avvocato
Haytham al-Maleh che, a tale scopo, intraprenderà al più presto consultazioni "con
le forze di opposizione dentro e fuori dalla Siria". Proseguono intanto ad Aleppo
i combattimenti tra esercito e milizie dell’opposizione. In un assalto a due stazioni
di polizia sarebbero rimasti uccisi 40 poliziotti. Scontri ed esplosioni anche nei
sobborghi intorno a Damasco. Una settantina in tutto le vittime di oggi nel Paese.
Sul fronte diplomatico, ieri serrati contatti tra Stati Uniti e Turchia, affinché
Ankara - secondo le richieste del presidente Obama - si adoperi per accelerare la
transizione a Damasco. Sul ruolo che la Turchia può avere nella crisi siriana, Giancarlo
La Vella ha sentito Camille Eid, esperto di Medio Oriente del quotidiano
Avvenire:
R. – Sappiamo
che il ruolo di Ankara è essenziale in ogni coalizione anti-Assad. Innanzitutto, per
i lunghi confini tra la Turchia e la Siria e poi perché le zone controllate dai ribelli
sono vicinissime a questo confine siro-turco e quindi eventuali aree di sicurezza
saranno istituite proprio in quelle zone. Quindi, l’attacco contro il cuore del potere
si giocherà a partire dalla Turchia, anche perché il Consiglio nazionale di transizione
siriano ha come principale base all’estero la città di Istanbul. Anzi, sono molti
che l’accusano di essere influenzato dai servizi di sicurezza o dai miliari turchi.
D.
- Sono legittime le proteste della Siria che sta accusando i Paesi limitrofi di inserirsi
in una situazione che, secondo Damasco, rientra nella propria sovranità?
R.
- E’ un’accusa infondata, in quanto la stessa Siria, quando era potente, è sempre
intervenuta negli affari interni dell’Iraq, del Libano, della Turchia, della Giordania,
e non si è mai tirata indietro. Adesso è chiaro che questi Paesi, dalla loro, si proteggono,
ma la mia impressione è che essi, almeno la Giordania e il Libano, hanno cercato fino
all’ultimo di tenersi alla larga da quanto stava e sta tuttora accadendo in Siria,
limitandosi all’accoglienza dei profughi. Tuttavia, è chiaro che, loro malgrado, rimangono
coinvolti. Sappiamo ad esempio che in Libano le tensioni tra alawiti e sunniti riflettono
una guerra civile o confessionale in atto in Siria. Lo stesso vale per l’Iraq. Il
governo centrale iracheno ha cercato di mandare le truppe al confine per limitare
il flusso dei profughi ed è stato impedito dal governo autonomo turco. Quindi, quando
un Paese vive un evento bellico, tutti i Paesi circostanti cercano in qualche maniera
di proteggersi, ma non possono non risentire dell’impatto.
D. – Il Libano è
uno dei Paesi storicamente sotto l’influenza siriana. Quali conseguenze ci possono
essere per Beirut da questa situazione?
R. - Ultimamente un coinvolgimento
viene paventato molto spesso. Speriamo che questo non avvenga. Il Libano cerca di
fare del suo meglio, ma sappiamo che è ancora sotto l’influenza siriana, perché il
governo attuale è molto vicino alla Siria, vi partecipano i filo siriani Hezbollah
e anche partiti che sono considerati vicini ad Assad.
D. - Poi c’è Israele:
sembra che lo Stato ebraico stia recitando un ruolo di secondo piano in una situazione
che invece lo riguarda molto da vicino...
R. – Ultimamente Israele ha evidenziato
il rischio che le armi chimiche o batteriologiche siriane siano trasferite a Hezbollah
in Libano. Quindi, finché si tratta di un conflitto all’interno della Siria, Israele
rimane a guardare, anzi forse gli conviene che il regime di Bashar al Assad continui
a impegnarsi in questa guerra civile, perché questo indebolisce il governo centrale,
ma alla fine Israele interviene quando invece questo conflitto supera i confini siriani
per andare a minacciare la sicurezza di Paesi limitrofi, soprattutto la sua sicurezza.