Nigeria. Vescovo di Sokoto: la violenza nasce da cattiva gestione delle risorse
“I problemi della Nigeria, soprattutto la terribile violenza, non hanno niente a che
vedere con la religione. Qui, i problemi nascono dalla cattiva gestione delle risorse
del Paese e dalla incapacità del Governo di controllare la situazione”. E’ quanto
pensa mons. Matthew Hassan Kukah, vescovo di Sokoto, in una intervista rilasciata
alla Fondazione Oasis e ripresa dall'agenzia Sir, in merito alle violenze sui cristiani
in Nigeria da parte della setta musulmana Boko Haram. “Ciascuna crisi in Nigeria è
immediatamente collegata alle religioni - osserva -. Ma noi non abbiamo mai avuto
una crisi religiosa o una crisi derivata da cristiani o musulmani in lotta su questioni
religiose. La vera ragione della crisi in corso è politica ed economica. Non è corretto
presentare i problemi di oggi come conflitti tra religioni”. Il vescovo di Sokoto
ricorda che le violenze non sono iniziate “soltanto un paio d’anni fa” ma da oltre
vent’anni, e “ciò cui stiamo assistendo è la manifestazione della corruzione dello
Stato della Nigeria”. “Io credo che, se le cose non cambieranno e se il governo e
i pubblici ufficiali continueranno con la cattiva gestione delle risorse dello Stato
- sottolinea -, essi non avranno più l’autorità morale per punire i criminali. Di
conseguenza si potrebbe anche tentare di fermare questo processo oggi, ma domani riapparirebbe
in un punto diverso”. Secondo Mons. Kukah la setta responsabile degli attentati Boko
Haram “è un fenomeno nuovo ed estraneo. Non ha niente a che fare con la religione”,
tanto è vero che “hanno attaccato leader e istituzioni musulmane, hanno ucciso migliaia
di musulmani, certamente molti di più dei cristiani”. “Ciò che conta - sottolinea
- è aver chiaro che l’estremismo religioso, sia nel Cristianesimo che nell’Islam,
miete vittime al suo interno, per così dire, prima che al di fuori”. Riguardo alle
soluzioni, a suo avviso, “sul breve periodo il governo federale dovrebbe abbandonare
l’idea di una soluzione militare, cominciando a stabilire una data per il ritiro dell’esercito
dalle nostre strade. La classe politica deve essere incoraggiata a trovare una soluzione
a ciò che è chiaramente un problema politico e non religioso. I leader delle comunità
(non necessariamente leader religiosi) devono essere incoraggiati a farsi carico della
situazione e impegnarsi in iniziative il cui scopo sia unificare le comunità”. A suo
parere è necessario “edificare la fiducia pubblica, poiché non vi potrà essere una
soluzione di tipo militare, dato che la presenza militare esalta soltanto la violenza”.
Infine, suggerisce, “il governo federale deve cominciare un programma di riabilitazione
e ricostruzione delle comunità distrutte. Questo creerebbe fiducia e ridurrebbe la
frustrazione e l’amarezza tra i cittadini”. (R.P.)