La Chiesa del Guatemala al fianco dei giovani per un riscatto umano e sociale
Continua in Guatemala l’impegno delle istituzioni contro la povertà e la corruzione
nella difesa della democrazia. Una sfida raccolta con particolare impegno dalla Chiesa
locale che offre alla comunità e in particolare ai giovani segni di speranza con un
impegno di carità sociale e di formazione spirituale. Altra grande sfida per la Chiesa
guatemalteca è la presenza delle sette. Di provenienza statunitense, crescono nella
società locale per la loro disponibilità economica e la forte, ma apparente, esperienza
di comunità che offrono. Don Leonardo Biancalani, teologo, sacerdote italiano
della diocesi di Massa Marittima-Piombino incaricato di svolgere un corso di aggiornamento
per formatori e sacerdoti sulla “Morale sociale”, racconta al microfono di Luca
Collodi la sua esperienza nel Paese latino-americano:
R. - La situazione
è quella di un Paese che si vuole riscattare socialmente, ma anche quella di un Paese
che manifesta un’estrema povertà, anche se - allo stesso tempo - manifesta un grande
entusiasmo. Ho visto una Chiesa che vuole veramente riscattarsi e che vuole dare un
segno forte di speranza, anche se permangono, però, delle tensioni visibili nel Paese
e una povertà abbastanza evidente.
D. - Il ruolo della Chiesa del Guatemala
come s’inserisce oggi in questo cammino di riscatto, di legalità, di rafforzamento
della democrazia?
R. - La Chiesa guatemalteca, per quella che è appunto la
mia esperienza personale, credo che stia facendo un lavoro di carità sociale molto
importante così come di formazione dei sacerdoti: una formazione spirituale e una
formazione liturgica, anche con l’uso mirato dei segni liturgici. C’è un’attenzione
- sia per quanto riguarda la liturgia sia per quanto riguarda la carità - da parte
della Chiesa guatemalteca molto importante e questo sono convinto che potrà permettere
quest’opera forte nel corso degli anni per riportare la Chiesa in alto.
D.
- Guardiamo anche ai giovani: i giovani del Guatemala rispetto all’esperienza di fede...
R.
- E’ un Paese relativamente giovane. Voglio ricordare che sono appena 30 anni che
è finita la guerra, una guerra veramente sanguinosa. E’ quindi un Paese giovane, dove
i giovani chiedono alla Chiesa non soltanto l’allegria tipica dell’America Latina,
ma chiedono soprattutto una presenza molto forte. C’è da parte dei giovani una voglia
di stare insieme, anche se però si notano quelli che sono i segni di una guerra che
è stata sanguinosa: da un certo punto di vista si vede, quindi, un certo di tipo di
frazione. Chiaramente il fenomeno della disoccupazione, fenomeno certamente conseguente
di altri problemi sociali, e la corruzione sono dei mali endemici. Stanno cercando
ora di reagire con forza, ma si vede una certa fatica. Sono convinto che però non
manchi la forza e non manchi la voglia da parte dei giovani, che sono poi il sale
della società, per cercare di ricostruire e arrivare veramente ad un riscatto sociale.
D. - Altro tema che interessa non solo il Guatemala, ma tutta l’America è
quello delle sette. Da questo punto di vista, la Chiesa come si sta muovendo?
R.
- Il problema delle sette è evidentissimo: basta girare con la macchina per trovare
qualsiasi tipo di cartello con una chiesa particolare, dai nomi più disparati. Io
credo che questo sia un problema veramente drammatico, perché molti hanno perso -
da questo punto di vista - la fede per aderire alle sette, anche perché sono sette
di estrazione americana, che "conquista" in tutti i sensi: quindi sia da un punto
di vista economico, sia da un punto di vista di una "apparente e forte comunità".
Io credo che questa sarà una sfida per la Chiesa cattolica guatemalteca molto forte,
anche perché le sette sono ramificate: ogni 300-400 metri ci si imbatte in una chiesa
con un nome diverso. Sono molto forti i Testimoni di Geova, i Mormoni e anche altri
vari tipi di sette particolari.