Incendi di rifiuti tossici a Caivano, nel napoletano, la testimonianza di don Patriciello
Sono disperati gli abitanti di Caivano e di tutta l’area del napoletano conosciuta
come “la terra dei fuochi”, dove nei giorni scorsi gli incendiari hanno appiccato
un rogo a rifiuti di tutti i tipi in pieno centro abitato, invaso poi da una nube
di fumo nero e denso. I piromani hanno agito alle spalle della parrocchia di San Paolo
Apostolo, il cui parroco, don Maurizio Patriciello, da tempo ormai denuncia una situazione
insostenibile proprio a causa degli incendi di rifiuti tossici. Ieri, i 13 parroci
della foranìa di Caivano, si sono riuniti per parlare di eventuali iniziative da assumere.
Francesca Sabatinelli ha intervistato don Maurizio Patriciello:
R. - Non è che
in questi anni noi "abbiamo dormito". Sapevamo del problema e pensavamo che chi dovesse
intervenire, sarebbe intervenuto. Purtroppo dobbiamo anche dire che in questi anni
si è fatto di tutto per confondere il problema dei rifiuti tossici con i rifiuti urbani.
Il problema, invece, è emerso negli ultimi tempi in tutta la sua gravità. Si tratta
del problema dei rifiuti tossici, dei rifiuti industriali riversati illegalmente e
quindi c’è bisogno di bruciarli per non lasciare traccia. A queste persone viene rubata
l’aria! Io mi rendo conto che chi non vive questo dramma, ha difficoltà a capire che
cosa è successo a Caivano.
D. - Ma chi è che doveva intervenire e non l’ha
fatto? Chi è che non sta aiutando le persone di Caivano e di tutta la zona?
R.
- A me dispiace dirlo ma è uno "scarica barile" che fa soffrire. Ognuno dice che il
problema non si può risolvere solamente in un certo modo. Poi, non si può pensare
di risolverlo solamente con le forze dell’ordine e su questo non ci sono dubbi...
Poi a scalare, il primo responsabile di quello che avviene in un territorio è il sindaco
del paese con la sua giunta comunale.
D. - Gli abitanti di Caivano come hanno
reagito a quello che è accaduto?
R. - Le persone che passavano sia in macchina,
sia quelle affacciate ai balconi delle case, erano esterrefatte, allibite, annichilite,
perché la cosa era veramente pesante .. Purtroppo - e a me dispiace dirlo io sono
un prete, sono un uomo della speranza -, c’è anche tanta rassegnazione, c’è tanta
gente che non crede che possa accadere qualcosa. C’è la camorra, ci sono le persone
corrotte, ci sono le persone colluse, incapaci, gli amministratori locali che un po’
sono amici o parenti di qualcuno, per cui qualcuno tende a sminuire la cosa...
D.
- Con certezza non si può dire cosa sia accaduto. Non è però azzardato parlare di
ritorsione per quello che voi state denunciando...
R. - È sempre difficile,
è sempre bene essere prudenti. La realtà è questa. Questo terreno si trova all’interno
della mia parrocchia ed è proprio a ridosso di palazzi del centro abitato. Fino ad
ora, non era mai capitato che ci si spingesse così all’interno per bruciare; si bruciava
sempre all’interno delle campagne. Detto questo, bisogna dire però che a poca distanza
c’è anche la caserma dei carabinieri. Ci hanno sporcato il cielo, ci hanno rubato
l’aria, ci hanno spento il sole! Non è uno scempio ambientale. No, questo è un dramma
umanitario.
D. - C’è qualcuno che però le ha chiesto - gentilmente o non gentilmente
- di tacere?
R. - “Consigli” di questo tipo arrivano sempre, tutte le volte
che una persona si impegna in qualche cosa e in qualsiasi cosa si faccia in queste
zone. Noi per fare in questo modo ci siamo ritrovati in questa condizione. Mi sono
chiesto: “Perché la camorra ha attecchito così tanto qui e non altrove?” Evidentemente,
noi gli abbiamo dato ospitalità, almeno al pensare camorristico...
D. - Se
lei potesse lanciare un appello, a chi lo invierebbe e cosa chiederebbe?
R.
- Lancerei un appello soprattutto a coloro che hanno la responsabilità: “Dovete intervenire
presto”, perché la nostra burocrazia è farraginosa, lenta e pedante; la camorra, invece,
si muove svelta come una lepre. I roghi devono essere spenti all’istante e si deve
sorvegliare affinché nessuno possa accenderne ancora. Un altro appello, lo lancerei
ai sacerdoti, ai confratelli vescovi in giro per l’Italia, affinché la Chiesa italiana
prenda a cuore questo problema. Se il grido di sofferenza che si leva da questa diocesi
di Aversa, tutta la Chiesa lo fa suo, credo che veramente possiamo uscire da un incubo.