Mons. Fisichella: i cristiani escano della proprie comunità per portare il Vangelo
ad ogni uomo
Si è tenuto sabato a Kostrzyn, in Polonia, il primo Congresso nazionale sulla nuova
evangelizzazione. Al Congresso, assieme ad oltre 1500 persone, partecipa anche l’arcivescovo
Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione.
Padre Stanisław Tasiemski lo ha intervistato:
R. – La nuova
evangelizzazione ha come suo compito specifico quello di ravvivare in coloro che già
sono cristiani e battezzati la consapevolezza di essere degli evangelizzatori. E solo
a partire da qui è possibile raggiungere anche le persone che si dicono cristiane
ma sono diventate indifferenti, o le persone che non partecipano più alla vita della
comunità cristiana, o alle persone che non hanno ancora conosciuto Gesù Cristo. Forse,
in questo momento di profonda crisi nella cultura e nella società, i cristiani potrebbero
facilmente trovare maggiore sicurezza all’interno delle loro chiese, delle loro comunità,
Ma questo significherebbe vanificare l’evento della Pentecoste. La Pentecoste obbliga
i cristiani ad essere presenti nel mondo, e quindi ad essere presenti là dove vive
l’uomo, per poter portare ad ogni uomo il Vangelo. Quindi non è pensabile che la Chiesa
possa vivere in maniera privata e privatistica la dimensione dell’annuncio: l’annuncio
è universale, va portato a tutti e questo richiede una presenza significativa nella
società. Senza la presenza dei cattolici, certamente la società sarebbe più povera
e più triste, perché mancherebbe della ricchezza del Vangelo e della nostra speranza.
D.
– La Chiesa dovrà cambiare il linguaggio dell’annuncio?
R. – Ma … già il beato
Giovanni Paolo II diceva che la nuova evangelizzazione richiede anche un nuovo linguaggio,
un nuovo metodo ed anche un rinnovato entusiasmo. Certo, noi dobbiamo essere capaci
di parlare il linguaggio dei nostri contemporanei, ma non possiamo dimenticare che
il contenuto del nostro annuncio è sempre lo stesso: ieri, oggi e sempre. E non cambia.
Ciò che è cambiato è la società, ciò che è cambiato è il modo di concepire la vita.
Allora, noi dobbiamo essere capaci di entrare nella cultura secolarizzata, far comprendere
anche i limiti di una cultura secolarizzata. Vivere nel mondo come se Dio non esistesse,
non solo non ha portato una ricchezza nella cultura, ma ha impoverito l’uomo perché
l’uomo, oggi, è profondamente in crisi.
D. – Quali sono i frutti che lei si
aspetta dall’impegno della Chiesa per la nuova evangelizzazione?
R. – Noi oggi
abbiamo tante e diverse esperienze di nuova evangelizzazione. Ecco: io mi aspetto
che uno dei primi frutti sia quello di capire l’esigenza dell’unità nell’opera di
evangelizzazione, nel rispetto della complementarietà. Cioè, dobbiamo ritrovare una
profonda unità nella coscienza, nella consapevolezza dell’urgenza della nuova evangelizzazione,
ma dobbiamo essere capaci di riconoscere che le varie esperienze sono tutte molto
importanti, ma sono come affluenti che devono andare tutti verso lo stesso fiume.