2012-07-27 08:14:12

Siria: ad Aleppo si combatte senza sosta. Gli Usa: "Temiamo un massacro"


Sempre in primo piano la situazione in Siria. E’ Aleppo ormai il campo di battaglia tra il regime e l’opposizione. Gli Stati Uniti hanno detto di temere un massacro nella città. Secondo i ribelli poi solo ieri sono state un centinaio le vittime della violenza in diverse parti del Paese. Intanto la Lega Araba e il premier turco Erdogan ipotizzano un’uscita di scena di Assad entro breve tempo. Il servizio di Marina Calculli: RealAudioMP3

Circa duemila soldati di Assad sono stati concentrati ad Aleppo, la seconda città della Siria, dove i ribelli e i lealisti si giocano una partita da entrambi percepita come un punto di svolta. Anche alla periferia di Damasco non sono però mancati gli affronti tra le due parti mentre molte manifestazioni civili sono esplose in diversi quartieri. Gli Stati Uniti temono un nuovo massacro anche se Washington ribadisce che non ci sarà un intervento militare esterno. Si mobilita nel frattempo anche l’Unesco che invita a preservare le bellezze archeologiche di Aleppo. Nonostante l’offensiva, però, all’esterno si moltiplicano le aspettative di una transizione. Per Erdogan Assad sarebbe sul punto di andarsene mentre il generale disertore Manaf Tlaas dice di “non immaginare una Siria con l’attuale presidente”. Ex amico di Bashar, Tlaas lo ha però anche sollevato da parte della responsabilità. “Si è fatto mal consigliare dai servizi d sicurezza”. Ha detto Tlaas. “Non è solo lui che ha deciso la repressione ma l’intero regime”. Continua intanto il flusso drammatico di rifugiati nei paesi vicini. Per gestire i flussi l’UE ha stanziato complessivamente 83milioni di euro.

Un appello per una via d’uscita pacifica alla crisi è venuto ieri dall’arcivescovo cattolico greco-melkita di Aleppo, mons. Jean-Clément Jeanbart, a conclusione di un breve vertice con gli altri vescovi cattolici tenutosi nel suo arcivescovado. Stessa richiesta è venuta ieri dalle principali forze di opposizione al regime di Assad, riunite a Roma per iniziativa della Comunità di Sant'Egidio. Ascoltiamo le parole di mons. Jeanbart raccolte dalla collega francese, Manuella Affejee: RealAudioMP3

R. – Ce que nous demandons, si l’Occident, si les chrétiens en Occident, si les …
Quello che noi chiediamo, se l’Occidente, i cristiani d’Occidente, se i Paesi di buona volontà vogliono aiutarci, è che essi spingano per il dialogo e per l’intesa, per arrivare ad un compromesso. In altri termini, che sostengano la missione Annan con tutte le loro forze, che tentino di fare in modo che gli scontri finiscano e al contempo non incoraggino la violenza e l’odio, quanto piuttosto tentino di richiamare alla calma e alla ragione. Ecco, questo soprattutto: credo che i Paesi europei, la Nato, gli altri Paesi arabi collegati possano ottenere questo facilmente. Come la Russia, dall’altro canto, anche altri Paesi possono fare pressione sul governo siriano affinché faccia qualcosa in questo senso. Ma ciò non potrà accadere se non ci sarà un cessate-il-fuoco con la sospensione delle violenze da tutte e due le parti.

E preoccupa l’emergenza umanitaria in Siria. Migliaia di persone sono in fuga nei Paesi confinati come Libano, Iraq, Giordania e Turchia dove il governo ha deciso di aprire le frontiere solo ai profughi. L’Unione Europea intanto ha stanziato 83 milioni di euro per fronteggiare l’emergenza. Laura Boldrini, portavoce dell'Alto Commissariato Onu per i rifugiati, ai nostri microfoni fa il punto della situazione: RealAudioMP3

R. – E’ difficile avere una fotografia precisa di quanti siriani siano fuggiti dal loro Paese e questo perché non tutti si registrano con l’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Le stime che noi abbiamo, quindi, non comprendono tutte le persone in fuga. A noi risulta che siano circa 150 mila le persone fuori dalla Siria, ma a questi vanno ad aggiungersi un milione e mezzo di sfollati interni, le persone cioè costrette a lasciare le proprie case, ma che non hanno attraversato la frontiera: si sono quindi spostati da una città all’altra all’interno della Siria.

D. – Giordania, Libano, Iraq e Turchia sono i Paesi che stanno accogliendo i profughi e, tra l’altro, nei giorni scorsi la Turchia ha chiuso le frontiere ma ha aperto dei corridoi per i profughi. E’ un segnale, anche questo, importante e di sensibilità…

R. – A oggi dobbiamo dire sì e noi siamo molto grati ai Paesi confinanti perché hanno tutti tenuto le frontiere aperte. Per quanto riguarda la Turchia, abbiamo avuto ampie rassicurazioni che si tratta di una chiusura per i mezzi commerciali. Devo inoltre ricordare che c’è una situazione ancora più critica, quella che riguarda i rifugiati iracheni che vivevano in Siria. Oggi, gli stessi iracheni stanno ritornando nel loro Paese di origine, ne sono già rientrati almeno 10 mila. A Damasco, poi, c’è ora una situazione in cui anche civili fuggiti da altre città – tipo Homs – e approdati nella capitale, dopo i bombardamenti sono dovuti scappare di nuovo. Ci sono decine di scuole che sono state allestite come dormitori, così come nei parchi pubblici sono stati messi degli alloggi di fortuna. In Turchia, invece, l’accoglienza è più nei campi: ce ne sono oltre 10 allestiti dalle attività turche. La situazione è quindi più gestita a livello centrale, ma in altri Paesi – come la Giordania, il Libano – è tutto molto più diffuso e sulle spalle anche dei privati, degli amici e dei parenti di queste persone.

D. – Nei giorni scorsi, l’Unione Europea ha stanziato 20 milioni di euro per i profughi siriani: ma quali sono i bisogni e soprattutto come è possibile aiutare?

R. – Dobbiamo dire che siamo preoccupati anche per la situazione economica e finanziaria: all’appello che abbiamo fatto di 192 milioni di dollari, solo il 26 per cento dei fondi sono stati stanziati. Una cifra veramente bassissima, che non consente di mantenere neanche il livello di assistenza che in certi casi è totale: dai viveri all’alloggio, all’acqua, alle cure mediche. In alcuni casi, c’è solo l’assistenza umanitaria fornita dalle agenzie internazionali: se manca questo per la gente è difficile farcela. Quello che stupisce è che, data la gravità della situazione e il fatto che non si trovi una via per sbloccarla – e va sbloccata a livello politico – neanche a livello umanitario c’è una risposta capace di sopperire almeno ai bisogni primari.







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