Siria : bombe a Damasco mentre i lealisti accerchiano Aleppo. La Turchia chiude le
frontiere.
In Siria non si arresta l’escalation dei combattimenti tra soldati lealisti e forze
della resistenza. Da Damasco la guerra civile si è allargata ad Aleppo. Intanto altri
due ambasciatori siriani, a Cipro e negli Emirati Arabi Uniti, hanno defezionato.
Marina Calculli:00:00:59:62
Le forze militari fedeli al regime di
Assad sono dirette verso Aleppo dove è in corso una sanguinosa battaglia tra lealisti
e combattenti della resistenza. Nel frattempo 150 dei 300 osservatori dell’ONU ha
lasciato la Siria dichiarando di non avere intenzione di ritornarci. I picchi di violenza
che in queste settimane si sono raggiunti in Siria hanno d’altra parte sancito il
fallimento della missione ONU. La giornata ancora non è finita e sarebbero già circa
45 le persone morte oggi nei combattimenti. Intanto anche la Turchia chiude i confini
con la Siria. Dall’inizio della crisi siriana oltre 40.000 civili hanno varcato la
frontiera. Da Amnesty International giunge intanto un nuovo appello: “Cessate le esecuzioni
sommarie”, mentre Ban Ki Moon chiede al mondo di unirsi per far cessare la violenza
in Siria. Il Segretario generale delle Nazioni Unite parla dal cuore della Bosnia
– un posto simbolico, dove nel 1995 fu compiuto il genocidio di Srebrenica. Ma la
Russia si irrigidisce sulla sua posizione e accusa gli Stati Uniti di fare l’apologia
del terrorismo sostenendo la resistenza. Intanto altri due ambasciatori siriani a
Cipro e negli Emirati Arabi Uniti hanno voltato le spalle al regime mentre da Parigi
il generale Manaf Tlass che si è unito alla resistenza lancia un appello per l’unità
della Siria.
Al Qaeda ha rivendicato gli attentati che in questi ultimi giorni
hanno insanguinato l’Iraq provocando più di 100 morti. Una recrudescenza che preoccupa
la comunità internazionale anche per le violenze che stanno sconvolgendo la Siria.
Ma esiste un legame tra quanto sta accadendo nei due paesi? Al microfono di Benedetta
Capelli risponde Stefano Torelli, membro del Comitato Italiano per l’Islam
politico:00:03:01:30
R. - Tenderei a sottolineare come l’Iraq, dal ritiro
statunitense del dicembre 2011 ad oggi, in realtà è sempre stato, ed è ancora purtroppo,
un Paese molto instabile. È chiaro che si può ipotizzare anche un qualche collegamento
tra il deteriorarsi della situazione interna in Siria, e quella in Iraq, soprattutto
perché da anni la questione della sicurezza e del terrorismo in Iraq è stata collegata
anche alla Siria. Gli Stati Uniti e molti altri Paesi dell’area hanno accusato la
Siria del fatto che fosse un punto di transito per alcuni terroristi che andavano
poi a compiere i loro attentati in Iraq. E quindi insomma, in qualche modo, il regime
siriano aveva una parte di responsabilità in quello che accadeva in Iraq. Ora, si
potrebbe ipotizzare una sorta di nuova correlazione tra l’Iraq e la Siria, nel senso
che il terrorismo di matrice qaedista potrebbe sfruttare in questo momento la situazione
di instabilità in Siria per creare maggiori tensioni anche in Iraq e far ricadere
il Paese in una spirale di violenza e destabilizzazione, funzionale solo agli scopi
delle organizzazioni terroristiche.
D. - Siamo in pieno Ramadan. Questo che
cosa significa?
R. - Non è la prima volta che episodi di terrorismo avvengono
in concomitanza di festività o di celebrazioni particolari. Detto ciò si tratta di
una scia di attentati che risale a molto prima. Tra l’altro, molti obiettivi di quest’ultima
ondata di attentati sono stati obiettivi sciiti.
D. - Quanto, secondo lei,
le divisioni tra sciiti e sunniti stanno pesando in Iraq e in Siria?
R. - Ecco,
quello è un fattore che continua a influenzare, soprattutto in Iraq piuttosto che
in Siria, perché l’ultimo governo di Al Maliki a maggioranza sciita in Iraq ha un
po’ esacerbato i toni dello scontro interno tra sunniti e sciiti. L’Iraq ancora oggi
è un terreno di competizione tra due poli quello sciita e sunnita, cioè rispettivamente
Iran e Arabia Saudita in testa. In Siria, a mio avviso, non siamo di fronte a una
vera e propria guerra settaria; vi è chiaramente il regime che ha una forte base di
consenso e di appartenenza soprattutto alla minoranza alawita, che ricordiamo, sono
sì degli sciiti ma non possono neanche essere considerati degli sciiti ortodossi,
se così possiamo dire. Vi è sicuramente un confronto interno che ormai ha assunto
i toni di una vera e propria guerra civile tra il regime e le opposizioni.