44.mo dell'"Humanae Vitae" di Papa Montini. Benedetto XVI: "Testo coraggioso e lungimirante"
Il 25 luglio del 1968 veniva pubblicata l’Enciclica di Paolo VI Humanae Vitae.
Il documento – che espone la visione della Chiesa sulla dignità della vita umana,
in particolare sul suo concepimento e sulla illiceità delle tecniche anticoncezionali
– fu il frutto di un lungo e talvolta contrastato lavoro di una Commissione di studio.
Ma il magistero che ne scaturì è stato ribadito alla lettera dai Papi successivi e
anche Benedetto XVI ne ha più volte lodato la “lungimiranza”, come ricorda in questo
servizio. Alessandro De Carolis:
La sessualità
è un bene di Dio e non un bene di consumo. Ci voleva del coraggio per affermare questo
sostanziale principio in un’epoca, come quella inaugurata dal Sessantotto, in cui
la “liberazione” sessuale era la bandiera esibita con più aggressività da chi voleva
chiudere con le regole del passato. E proprio il “coraggio”, assieme a una profetica
“lungimiranza”, è quello che Benedetto XVI ha più volte riconosciuto a Paolo VI, quando
appose la propria firma in calce all’Enciclica il 25 luglio di 44 anni fa:
“Quel
documento divenne ben presto segno di contraddizione. Elaborato alla luce di una decisione
sofferta, esso costituisce un significativo gesto di coraggio nel ribadire la continuità
della dottrina e della tradizione della Chiesa. Quel testo, spesso frainteso ed equivocato,
fece molto discutere anche perché si poneva agli albori di una profonda contestazione
che segnò la vita di intere generazioni”.
È il 10 maggio 2008, quando Benedetto
XVI esprime questa considerazione davanti ai partecipanti a un convegno internazionale
organizzato per il 40.mo dell’Humanae Vitae. Paternità responsabile, aspetto
“unitivo” e “procreativo” dell’amore coniugale, periodi “fecondi” e “infecondi”, vie
lecite e illecite per la “regolazione della natalità”: l’insegnamento dell’Humanae
Vitae, riconosce Benedetto XVI, “non è facile”. Ma c’è una “parola chiave”, dice,
per comprendere l’Enciclica di Paolo VI, “l’amore”. Un amore che ha la sua radice
in Dio e che dunque mai potrà guardare al corpo umano come a “un oggetto che si può
comperare o vendere”:
“In una cultura sottoposta alla prevalenza dell’avere
sull’essere, la vita umana rischia di perdere il suo valore. Se l’esercizio della
sessualità si trasforma in una droga che vuole assoggettare il partner ai propri desideri
e interessi, senza rispettare i tempi della persona amata, allora ciò che si deve
difendere non è più solo il vero concetto dell’amore, ma in primo luogo la dignità
della persona stessa”.
Amore come “dono” e non come semplice “atto”, quindi,
che si richiama – secondo il Papa – a quanto operato da Dio all’inizio della Creazione”.
Tuttavia, oggi come ai tempi di Paolo VI, constata il Papa, si tende a fornire specie
ai giovani una visione distorta dell’amore, l’idea che esista un piacere del tutto
sganciato dalla responsabilità:
“Fornire false illusioni nell’ambito dell’amore
o ingannare sulle genuine responsabilità che si è chiamati ad assumere con l’esercizio
della propria sessualità non fa onore a una società che si richiama ai principi di
libertà e di democrazia. La libertà deve coniugarsi con la verità e la responsabilità
con la forza della dedizione all’altro anche con il sacrificio”.