Il religioso che allena gli olimpionici kenyani: intervista con fr. Colm O'Connell
Mancano due giorni all’inizio delle Olimpiadi di Londra; un’edizione che si preannuncia,
come sempre, carica di emozioni. Le stelle dello sport mondiale sono già tutte nella
capitale britannica. Ma ci sono anche protagonisti meno noti delle competizioni; tra
loro anche un religioso cattolico. E’ fratel Colm O’Connell, irlandese della
congregazione di San Patrizio, allenatore – come racconta l’agenzia Misna - di alcuni
tra i più celebri fondisti kenyani degli ultimi decenni, tra cui il primatista mondiale
degli 800 metri, David Rudisha. A Davide Maggiore, fratello O’ Connell ha raccontato
come ha avuto inizio questa esperienza:
R. - Well, I
came to Kenya first in 1976… Sono arrivato in Kenya, la prima volta, nel 1976 come
missionario. Avevo una esperienza sportiva, ma soltanto una conoscenza generale dello
sport: non avevo un’esperienza di atletica. Sono arrivato alla scuola di Saint Patrick
ad Iten e ho scoperto che qui c’era una grande tradizione sportiva, non soltanto legata
all’atletica ma anche ad altre discipline. A quel tempo, il Kenya era un Paese ancora
relativamente giovane e c’era ancora tanto lavoro da fare per cercare di promuovere,
in particolare, l’educazione. Io ero impegnato nell’educazione e quindi ho cominciato
a ritenere che anche lo sport potesse essere molto importante nella vita dei giovani.
Ho utilizzato così il mio stesso interesse e la mia abilità per cercare di aiutare
i giovani a diventare dei buoni sportivi.
D. – Quello di allenatore è un lavoro
abbastanza insolito per un missionario: che nesso c’è tra la predicazione del Vangelo
e l’atletica?
R. – Being a catholic very often… Come cattolici, molto spesso
il nostro approccio allo sviluppo e al nostro stesso essere missionari non passa soltanto
attraverso un’educazione accademica, ma anche attraverso la formazione del carattere,
dei valori della vita, del comportamento e attraverso il dare ai giovani delle buone
fondamenta. Certo, potrebbe apparire un po’ inusuale per un missionario vedere l’atletica
e lo sport come una missione: ma credo che lo sport, così come altre attività che
vengono svolte al di fuori della classe, possano essere ancora più fruttuose del lavoro
strettamente accademico.
D. - Un’altra cosa da sottolineare è che questi atleti
- per esempio David Rudisha - rappresentano un esempio per i bambini e per i giovani
in Kenya…
R. - Yes, of course… Sì, certamente. Quando un atleta riesce a
raggiungere un livello così alto - come David Rudisha - diventa un mito e un esempio
per i giovani. Ritengo che molto spesso quando il gruppo dei giovani che pratica atletica
interagisce con David - durante gli allenamenti, nella vita sociale - rappresenta
certamente una buona opportunità per loro per comprendere che si può essere molto
tranquilli e lavorare duramente e, allo stesso tempo, essere molto “alla mano”. Questo
tipo di qualità sono molto importanti, perché penso permettano ai giovani di realizzare
che si può essere una superstar, un campione, ma questo non significa isolarsi dalla
realtà, non significa isolarsi dalla routine della vita quotidiana.
D. - Lei
ha allenato campioni del mondo e olimpici, recordman… Quale storia ricorda di più
o considera la più significativa?
R. - The one which comes out in my mind,
the most, is 1988, Peter Rono… La più bella che arriva subito alla mia memoria
è quella relativa al 1988 e a Peter Rono, vincitore alle Olimpiadi di Seoul, in Nord
Corea. Probabilmente perché è stata la mia prima Olimpiade come allenatore, ma forse
anche perché Peter aveva un background oscuro e “pesante” e probabilmente non era
visto da molti come un possibile campione ai Giochi Olimpici: era anche piccolo. Per
me è stata una conquista molto speciale e di grande sacrificio. Quando ritorno indietro
a questo episodio mi rendo conto che è stato il punto di svolta nella mia vita di
allenatore ed è quello che mi fa continuare a credere nell’importanza di istillare
i valori dello sport nella vita dei giovani.