Continua a non fare sconti la giustizia tunisina a Zine El Abidine Ben Ali che ieri,
ed è la seconda volta nel giro di poco più d’un mese, è stato condannato, in contumacia,
al carcere a vita. Anche in questo caso è per le vittime della repressione con cui
l’ex presidente tunisino cercò di stroncare con la forza la rivolta, mentre già migliaia
di insorti assediavano i palazzi del potere. A emettere la condanna è stato il
tribunale militare di Tunisi, riunitosi a Bab Saadoun, chiamato a pronunciarsi sulle
responsabilità per la morte di 43 persone, molte decedute per colpi d’arma da fuoco
o manganello, durante la repressione nella Grand Tunis (la capitale e le sue sterminate
periferie), e a Bizerte, Babeul, Monastir, Zaghouan e Sousse. Una strage che fece
il paio con quelle che, il 13 giugno, sono costate un altro ergastolo e che riguardavano
i manifestanti uccisi che si contarono a decine nelle città di Thala, Kasserine e
Ouardanine. Una sentenza dura e che, paradossalmente, avrebbe potuto esserlo ancora
di più perché accuse come quelle contestate a Ben Ali sono passibili della condanna
a morte, che la Tunisia non applica da un paio di decenni (le ultime volte colpì oppositori
di Ben Ali, nella seconda metà degli anni ’80) pur essendo ancora prevista dal codice
penale. Ma a sorprendere realmente nella sentenza di ieri è la condanna ad Ali
Seriati, per lungo tempo capo della sicurezza di Ben Ali, suo braccio destro e implacabile
persecutore di tutti coloro che si opponevano al regime. A oggi — nonostante sia ancora
detenuto — la fedina penale di Seriati era rimasta immacolata, ma solo perché, da
uomo furbo e che è sempre stato un passo davanti agli altri, anche negli anni di maggiore
fulgore non ha lasciato traccia scritta dei suoi comportamenti, preferendo riservare
per sé un ruolo defilato. Anche se tutti conoscevano benissimo l’enorme potere che
gestiva, in nome di Ben Ali, certamente, ma con molta «partecipazione» personale.
In pochi dicono d’averlo mai visto ridere, trincerato come ama stare dietro spessi
occhiali, e non è detto che dicano la verità. Alla lettura della condanna i familiari
di molte delle vittime hanno protestato, ritenendo la condanna a Seriati troppo mite,
così come quella inflitta ad un altro esponente del regime, l’ex ministro dell’Interno
(anzi l’ultimo) Rafik Haj Kacem, che dovrà scontare — lui sì, dal momento che è in
galera — quindici anni di reclusione, che si accodano ai dodici rimediati nell’altro
processo. Condannato anche (10 anni) Mohamed Lamine El Abed, ex comandante della Guardia
nazionale, le unità d’èlite nel cuore del dittatore. Al momento non è possibile sapere
se a carico di Ben Ali siano stati istruiti altri processi. Ma se ce ne fossero, l’ex
dittatore continuerà a esserne spettatore distaccato dall’Arabia Saudita, dove si
trova dal 14 gennaio dello scorso anno, quando fuggì con la moglie e il figlioletto,
mentre era ancora in corso la repressione.(Osservatore Romano)