Denver: in arrivo Obama, mentre si discute sul diritto a possedere armi
Il presidente degli Stati Uniti Obama si recherà in giornata a Denver per incontrare
le famiglie delle 12 vittime della strage compiuta venerdì da un folle durante la
prima del film Batman. Intanto si è quasi completata la bonifica della casa del killer,
il 24enne James Holmes, cosparsa di numerose trappole esplosive. Secondo fonti della
polizia, non vi sono altri sospettati e il pluriomicida, che lunedì sarà davanti al
giudice, avrebbe acquistato sul web le munizioni. Si riapre così negli Usa il nodo
relativo al diritto costituzionale dei cittadini di detenere armi di vario genere.
Su questo aspetto Cecilia Seppia ha intervistato il prof. Fernando Fasce,
docente di Storia americana presso l’Università di Genova:
R. – Sicuramente
è un problema molto, molto serio. Sappiamo che c’è in realtà il famoso secondo emendamento
costituzionale, al quale si appoggiano i sostenitori della vendita libera e indiscriminata
di armi; ma sappiamo anche che c’è una profonda distorsione di questo processo: ci
sono cioè pressioni che vengono dai produttori di armi, che vengono dall’organizzazione
nazionale “Generational Right for Associations” e che vengono da parti consistenti
dell’opinione pubblica e del mondo politico.
D. – C’è anche un problema d’interpretazione
della Costituzione. La strage di Denver, però, come è accaduto dopo quella di Tucson,
sta di fatto riaprendo il dibattito sulle armi negli Stati Uniti e dal sindaco di
New York, Bloomberg, è arrivato il richiamo ad Obama come a Romney a fare chiarezza,
a chiarire che cosa vogliono fare in merito alla violenza…
R. – In realtà sono
tutte leggi statali e ha fatto bene Bloomberg a richiamarlo, ma dovrebbe richiamare
soprattutto quelle componenti e frange del suo partito – il Partito Repubblicano –
che sono grandi sostenitori dell’uso indiscriminato delle armi e che si appella al
principio della libertà individuale, dello spirito della frontiera…
D. – E’
pure vero che in America c’è anche una cultura abbastanza radicata dell’autodifesa,
del volersi difendere da sé a tutti i costi…
R. – Questo è in parte vero, ma
in parte - è anche dimostrato da ricerche - c’è stata una trasformazione nel corso
del tempo: il consumo di armi cambia, si è accentuato in alcune fasi e legato a fasi
di particolare ansia, di preoccupazione, di crisi economica, di difficoltà, di tensione,
di disagio individuale e collettivo. Questo non va dimenticato! C’è una storia, una
costruzione nel tempo di questo uso delle armi: non è che sia una questione – come
dire – fisiologica e legata al Dna statunitense.
D. – In corso a New York
c’è la Conferenza Onu sulle armi e sul traffico di armi: l’auspicio è che arrivi anche
dalle Nazioni Unite un monito all’America ad affrontare questo problema…
R.
– Assolutamente sì. Questo sarà importante, ma – ripeto – sarà soprattutto importante
che all’interno dell’opinione pubblica statunitense si faccia sentire e riescano a
farsi sentire le voci che non mancano e che da tempo spingono per una ridefinizione
del rapporto tra armi, mercato, cittadini e residenti degli Stati Uniti.
D.
– Il Killer ha colpito in un cinema pieno di ragazzi, c’è chi ha chiesto più sicurezza,
più controlli nei luoghi pubblici ma così si rischia che la politica del contrasto
al terrore invada pesantemente la sfera pubblica?
R. – Assolutamente. Io credo
che gli Stati Uniti dovranno, con la forza che hanno di anticorpi nel dibattito democratico,
combattere tutto questo attraverso la “trasfusione” di questi anticorpi proprio nelle
giovani generazioni; e ancora attraverso la discussione sulla necessità di limitare
– lo ribadisco – l’uso delle armi e soprattutto di costruire percorsi di istruzione
e formazione tra i giovani che evitino processi di questo tipo.