Siria: l'Onu proroga la missione. A Damasco ancora scontri: migliaia gli sfollati
Il Consiglio di sicurezza dell'Onu, col sì anche di Mosca, ha approvato il prolungamento
della missione degli osservatori Onu in Siria per 30 giorni, mentre è fissato per
lunedì l’esame dell’Ue su nuove sanzioni contro Damasco. Intanto sul terreno la capitale
siriana resta il teatro degli scontri più violenti tra esercito e ribelli e cresce
la preoccupazione per la fuga di civili verso Libano, Turchia e Iraq. Smentito infine
l’ambasciatore russo a Parigi, secondo il quale il presidente Bashar al-Assad sarebbe
stato disposto a lasciare il potere. Il servizio di Gabriella Ceraso:
È
stato un sì unanime quello di oggi del Consiglio di sicurezza Onu, dopo il doppio
veto apposto ieri da Russia e Cina, che avevano minacciato di bloccare nuovamente
il testo, apparso invece oggi, a detta di Mosca, "bilanciato". È stata prolungata
dunque la missione degli osservatori Onu, con tutte le misure di cautela e di operatività
previste, per un periodo finale di 30 giorni, rinnovabile solo se in Siria cesserà
l‘uso di armi pesanti. Nel testo anche la richiesta a tutte le parti coinvolte, di
garantire la sicurezza e libertà di movimento agli osservatori. La parola passa oram,
per eventuali sanzioni, all’Ue. Ma l’azione diplomatica continuerà, garantisce lo
stesso segretario Onu Ban Ki Moon. Intanto sul terreno è ancora Damasco il teatro
principale degli scontri, una controffensiva dell’esercito per recuperare i quartieri
presi dai ribelli. Il timore espresso dalla diplomazia italiana è quello del rischio
jiahadista mentre gli operatori umanitari guardano all’emergenza sfollati, nella città
di Damasco, e a quella dei profughi che affollano le frontiere: l’agenzia Onu che
si occupa di loro, segnala nelle ultime 48 ore circa 30mila siriani fuggiti nel solo
Libano.
Ma da chi sono sostenuti gli oppositori di Assad? Risponde al microfono
di Luca Collodi, padre Samir Khalil Samir, docente di Storia della cultura
araba e islamologia all’Università Saint Joseph di Beirut e al Pontificio Istituto
Orientale di Roma:
R . - In questa
fase probabilmente sono i Paesi del Golfo - l’Arabia Saudita, il Qatar - perché la
“reazione” popolare ha subìto un cambiamento: all’inizio era solo per la libertà,
per la democrazia e per la giustizia, ma erano deboli perché non avevano alcun potere
di resistenza contro il regime; dopo alcuni mesi sono subentrati movimenti islamici
e adesso c’è un movimento islamico sunnita opposto al regime che è alawita, dunque
sciita, e dietro lo sciismo c’è l’Iran. Adesso ha quindi assunto una forma religiosa
che non c’era all’inizio.
D. - Quale Siria uscirà dalla guerra?
R.
- L’opposizione attuale rischia di diventare una nemica della Siria: la Siria del
regime di Assad era certamente dittatoriale, ma aveva anche degli aspetti positivi,
come quello relativo alla sicurezza o alla neutralità religiosa. Il rischio adesso
è che avremo una Siria con due gruppi opposti, quello del regime e quello nuovo che
verrà fuori, con delle opposizioni anche religiose. L’ideale sarebbe di arrivare a
un accordo. Questo era il progetto di Kofi Annan, ma sembra impossibile da raggiungere,
purtroppo! Era il progetto che ha presentato più volte anche il nunzio apostolico:
dobbiamo cercare di non mettere un gruppo contro l’altro, proponendo invece la situazione
migliore per la Siria.
D. - Quale futuro possiamo pensare, invece, per la
minoranza cristiana in Siria?
R. - La minoranza cristiana, secondo me, non
dovrebbe aver paura. Nel regime di Assad, i cristiani potevano fare tutto ciò che
la religione cristiana pratica e senza essere disturbati, purché non si mischiassero
con la politica. Oggi, il rischio è che i cristiani possano subire delle pressioni
se dominerà la tendenza islamica. Io credo, però, che se i cristiani continueranno
a avere una posizione per la libertà, per la democrazia, per la giustizia, potranno
allora avere un ruolo pacificatore, un ruolo costruttivo, perché noi non siamo per
un gruppo contro un altro, ma siamo per avere un Paese basato sulla cittadinanza,
basato sulla giustizia, sui diritti umani e sull’uguaglianza tra uomo e donna.
Gli
operatori umanitari del Comitato internazionale della Croce rossa e della societa'
della Mezzaluna rossa siriana sono mobilitati per dare soccorsi agli sfollati di Damasco
in Siria. In particolare, riferiscono, si pensa ad allestire scuole con materassi
e beni di prima necessità per l'accoglienza di chi, a causa della guerra ,ha perso
tutto. Un dramma cui fanno fronte ogni giorno anche i francescani presenti a Damasco,
come racconta Suor Yola, del Memoriale di San Paolo, raggiunta telefonicamente
da Gabriella Ceraso nella capitale siriana:
R. - Noi viviamo
in una situazione molto delicata; però la viviamo con molta speranza. Accogliamo la
gente, abbiamo aperto la nostra casa. Da diverse parti della Siria stanno venendo
qui lasciando le loro case, molte delle quali sono distrutte. Sono persone che hanno
perso tutto: casa, negozi, cliniche. Cerchiamo sempre di dare una testimonianza di
speranza, dicendo loro che tutto passerà.
D. – Voi stando in città sentite
gli spari?
R. - Certo. Intorno, nelle periferie di Damasco noi sentiamo che
si combatte. Ieri sera ci sono stati degli scontri per strada proprio davanti alla
porta della nostra casa. Abbiamo chiamato l’esercito e dopo un’ora è finita.
D.
- Abbiamo notizie di tanta gente che sta cercando di scappare, di andare via ..
R.
- I siriani sono venuti a Damasco; quelli di Homs sono tutti a Damasco. Ci sono tantissime
famiglie alloggiate in Siria. I cristiani sono in Siria, i cristiani non hanno lasciato
il Paese. E' un popolo forte quello siriano, ce la farà a vivere questa situazione,
seppur dolorosa. Noi siamo sicuri, crediamo in Dio che dà la pace e non negli uomini,
gli uomini hanno interessi.