Siria: colpiti i vertici della sicurezza del regime. Mosca condanna l’attentato
Precipita la crisi siriana. Stamani i ribelli hanno colpito i vertici dell’inteligence
governativa in un attentato contro il palazzo della sicurezza a Damasco. Un duro
colpo al regime, dunque, anche se è ancora tutta da chiarire la dinamica dell'attentato.
Sentiamo Marco Guerra:
“L'operazione
ha preso di mira la sede della sicurezza nazionale e ucciso i responsabili dei massacri".
L'Esercito libero siriano rivendica così l’attentato che, secondo diversi media arabi,
avrebbe ucciso i ministri dell’Interno e della Difesa, il capo dell’inteligence,
nonché cognato di Assad, e il capo dei reparti anti ribelli. L’opposizione parla anche
di nuovi scontri in diversi quartieri della capitale e di bombardamenti governativi
con l’impiego di elicotteri. E sale la tensione anche sul fronte diplomatico: Damasco
accusa L’occidente e in particolare Stati Uniti e Israele di cospirare contro la
Siria. Sulla stessa linea la Russia che condanna l’attentato e accusa alcuni Paesi
di incitare l’opposizione. Dal canto suo il ministro della Difesa Usa Panetta ritiene
che la guerra civile siriana stia finendo fuori controllo. Intanto l'inviato di Onu
sulla Siria, Kofi Annan, ha chiesto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
di rinviare a domani il voto sulla nuova risoluzione sulla Siria previsto per stasera.
Mosca ha già fatto sapere che bloccherà qualsiasi menzione a nuove sanzioni. Della
guerra civile in Siria Fausta Speranza ha parlato con il professor Arduino
Paniccia, docente di studi strategici all’Università di Trieste:
R. - E’ un
conflitto, seppure naturalmente giocato in un altro campo, tra Stati Uniti, Russia
e Cina, un conflitto che coinvolge l’Onu. E poi è un conflitto tra componenti religiose
diverse arabe ed è un conflitto, infine, che coinvolge gli assetti e gli equilibri
del Medio Oriente. Si profila come il nuovo tipo di conflitto che potrebbe accadere
in Medio Oriente.
D. – Parliamo del ruolo della Turchia: Assad accusa Erdogan,
presidente della Turchia, di alimentare una guerra di religione tra sunniti e sciiti
in Siria. Lei che dice?
R. – Si sfrutta il coordinamento dei Fratelli musulmani
per mettere in atto delle politiche, che poi finiscano per favorire la Turchia. Sicuramente
non è detto che tutte le cose vadano così come le immagina la Turchia, perché dobbiamo
ancora capire quale sarà l’atteggiamento vero finale dell’Iran su questa vicenda.
E dobbiamo ancora capire se effettivamente poi tutti i Fratelli musulmani delle varie
entità arabe e della sponda nord africana e mediorientale faranno quello che lasciano
intendere, cioè avere come riferimento il partito di Erdogan e come riferimento finale
la Turchia. Non è detto che questo accada. Già in Libia questo processo non è avvenuto
così come se lo aspettavano i turchi qualche settimana fa. Dobbiamo anche dire che
la spaccatura ormai tra mondo sciita e mondo sunnita che si è aperta nella vicenda
irachena è difficile da ricucire. La comprensione delle sfumature non è facile. Quello
che io vedo oggi nel mondo arabo è che la spaccatura riguarda molto la vicenda della
globalizzazione e del modello occidentale. La profonda divisione che c’è oggi all’interno
di questo mondo non è soltanto una divisione tradizionale tra sciiti e sunniti, e
le varie altre componenti religiose. La divisione profonda è tra coloro che vogliono
guardare al futuro e mantenere dei contatti comunque con il mondo occidentale e tra
coloro che invece lo rifiutano completamente. La linea più dura del rifiuto, che era
la linea di Al Qaeda - la linea del terrorismo, degli estremisti, la linea dei fondamentalisti
- devo dire che comunque dopo 20 anni ne è in qualche modo uscita sconfitta. Adesso
c’è un nuovo problema. Il problema divide in maniera più sottile i Fratelli musulmani,
che comunque vogliono arrivare al potere dopo tantissimi anni di lotta politica, e
di nuovo, al loro fianco, o le sette oppure sunniti più fondamentalisti, come per
esempio i salafiti. Non vedrei, però, solo il problema religioso nello scontro in
atto: ci sono anche problemi politici, economici e di risposta alla globalizzazione.