Attentato a Damasco: uccisi ministro della Difesa e cognato di Assad. Gli Usa: crisi
fuori controllo
Sembra precipitare la crisi in Siria: in un attentato, stamane a Damasco, sono rimasti
uccisi il ministro della Difesa e un alto consigliere militare, cognato di Assad.
Ferito il ministro dell’Interno. Fonti ufficiali parlano dell’attacco di un kamikaze
ma sembra sia stata posta una bomba all’interno del palazzo della sicurezza mentre
si svolgeva un incontro tra ministri e responsabili dell’intelligence. Un'altra esplosione
è stata udita in tarda mattinata nello stesso edificio. Sono due i gruppi ribelli
siriani che rivendicano l'attentato. Da tre giorni è sempre più alto il livello di
violenza a Damasco e sale l’attesa per il voto di oggi al Consiglio di sicurezza Onu
su una possibile ennesima risoluzione. Per il ministro della Difesa degli Usa, Leon
Panetta, la crisi siriana sta finendo fuori controllo: per questo - si afferma - occorre
aumentare la pressione su Assad. Della guerra civile in Siria Fausta Speranza
ha parlato con il professor Arduino Paniccia, docente di studi strategici all’Università
di Trieste:
R. - E’ un conflitto,
seppure naturalmente giocato in un altro campo, tra Stati Uniti, Russia e Cina, un
conflitto che coinvolge l’Onu. E poi è un conflitto tra componenti religiose diverse
arabe ed è un conflitto, infine, che coinvolge gli assetti e gli equilibri del Medio
Oriente. Si profila come il nuovo tipo di conflitto che potrebbe accadere in Medio
Oriente.
D. – Parliamo del ruolo della Turchia: Assad accusa Erdogan, presidente
della Turchia, di alimentare una guerra di religione tra sunniti e sciiti in Siria.
Lei che dice?
R. – Si sfrutta il coordinamento dei Fratelli musulmani per mettere
in atto delle politiche, che poi finiscano per favorire la Turchia. Sicuramente non
è detto che tutte le cose vadano così come le immagina la Turchia, perché dobbiamo
ancora capire quale sarà l’atteggiamento vero finale dell’Iran su questa vicenda.
E dobbiamo ancora capire se effettivamente poi tutti i Fratelli musulmani delle varie
entità arabe e della sponda nord africana e mediorientale faranno quello che lasciano
intendere, cioè avere come riferimento il partito di Erdogan e come riferimento finale
la Turchia. Non è detto che questo accada. Già in Libia questo processo non è avvenuto
così come se lo aspettavano i turchi qualche settimana fa. Dobbiamo anche dire che
la spaccatura ormai tra mondo sciita e mondo sunnita che si è aperta nella vicenda
irachena è difficile da ricucire. La comprensione delle sfumature non è facile. Quello
che io vedo oggi nel mondo arabo è che la spaccatura riguarda molto la vicenda della
globalizzazione e del modello occidentale. La profonda divisione che c’è oggi all’interno
di questo mondo non è soltanto una divisione tradizionale tra sciiti e sunniti, e
le varie altre componenti religiose. La divisione profonda è tra coloro che vogliono
guardare al futuro e mantenere dei contatti comunque con il mondo occidentale e tra
coloro che invece lo rifiutano completamente. La linea più dura del rifiuto, che era
la linea di Al Qaeda - la linea del terrorismo, degli estremisti, la linea dei fondamentalisti
- devo dire che comunque dopo 20 anni ne è in qualche modo uscita sconfitta. Adesso
c’è un nuovo problema. Il problema divide in maniera più sottile i Fratelli musulmani,
che comunque vogliono arrivare al potere dopo tantissimi anni di lotta politica, e
di nuovo, al loro fianco, o le sette oppure sunniti più fondamentalisti, come per
esempio i salafiti. Non vedrei, però, solo il problema religioso nello scontro in
atto: ci sono anche problemi politici, economici e di risposta alla globalizzazione.