Da Dublino a Cabinda – Eucaristia: cammino di unità, comunione, purificazione…
Si è tenuto dal 10 al 17 giugno a Dublino il 50° Congresso Eucaristico Internazionale,
sul tema “Comunione con Cristo e tra di noi”. Ad esso hanno partecipato migliaia di
persone provenienti da 144 Paesi. E molti pastori, volendo portare i loro fedeli ad
essere in sintonia con quell’evento di Dublino, importante per la Chiesa Universale,
hanno svolto nello stesso periodo congressi diocesani sull’Eucaristia. È stato il
caso della Diocesi di Cabinda, enclave tra l’oceano atlantico, la Repubblica del Congo
e la Repubblica Democratica del Congo, che la separa a Sud dall’Angola a cui la provincia
appartiene. Per Mons. Filomeno Vieira Dias, vescovo delle circa quattrocento mila
anime, in gran parte cattolici, che abitano quel territorio di 7.250 kmq, si è trattato
anche di metter in pratica l’invito che gli era stato rivolto da Giovanni Paolo II
quando, nel 2005, lo ha nominato vescovo di Cabinda. Un’occasione anche per ricordare
i 140 anni di celebrazione della prima messa cattolica a Cabinda e i 120 dell’ordinazione
del primo sacerdote nativo di quel territorio. Ma soprattutto per dare vita ad “un
grande momento di riflessione sulla centralità dell’Eucaristia nella vita della Chiesa
e che ci rende capaci di agire in nome di Dio nel tempo e nella Storia” – ha sottolineato
Mons. Vieira - senza dimenticare l’aspetto sociale. Alla stregua della donazione di
Dio a noi nell’Eucaristia, siamo chiamati ad essere “una presenza solidale” nel mondo.
E’
la prima volta che è stato realizzato un Congresso Eucaristico nella Diocesi di Cabinda,
mentre per l’Irlanda si è trattato di una seconda volta. Il primo Congresso Eucaristico
Internazionale a Dublino si svolse nel 1932. Allora il clima era certamente diverso,
si era in un periodo fiorente della Chiesa nel Paese, i cui antenati – ha detto il
Papa nel suo video-messaggio ai partecipanti a Dublino – avevano saputo predicare,
trasmettere l’amore per la fede e le virtù cristiane, il senso di penitenza, di perdono.
Eredità che è nutrita, purificata, rinnovata sull’Altare del Signore nel Sacrificio
Eucaristico della Messa. Ma tutto questo è stato scosso “in maniera orribile dalla
rivelazione di peccati commessi da sacerdoti e persone consacrate nei confronti di
persone affidate alle loro cure”, che hanno compiuto abusi su di essi invece di mostrare
loro “la strada verso Dio”.
Per Benedetto XVI è un mistero che persone che
hanno ricevuto regolarmente il Corpo del Signore nell’Eucaristia “abbiano offeso in
tale maniera”. Forse per loro cibarsi del Corpo e Sangue di Cristo sull’altare era
diventato una mera abitudine, precisamente ciò che il Concilio Vaticano II aveva cercato
di combattere con la riforma liturgica e che ogni congresso eucaristico cerca di ribadire.
In effetti, da sempre, specie nei momenti di smarrimento collettivo, la Chiesa ha
rivolto lo sguardo al significato profondo dell’Eucaristia, come fonte di comunione
con Cristo e tra gli uomini, per ritrovare la via giusta da seguire, “la strada verso
Dio”.
La grande adesione degli irlandesi a questo 50° Congresso e la gioia
con la quale lo hanno vissuto fa pensare che è stato certamente un balsamo per la
Chiesa nel Paese. E non solo. Poiché, anche se di natura diversa, i problemi e le
divisioni umane esistono ovunque. Cabinda non fa eccezione. E sicuramente tra gli
obbiettivi del suo Congresso Eucaristico Diocesano, realizzato dal 16 al 24 giugno,
c’era anche il desiderio di consolidare le basi di una fede cosciente delle proprie
fondamenta, nell’Eucaristia, per rinforzare lo sforzo di comunione tra tutti in quel
territorio.
La Diocesi di Cabinda ha conosciuto infatti dei momenti di turbolenza.
Basti pensare che Monsignor Dias ha potuto insediarsi soltanto 14 mesi dopo la sua
nomina. Per alcuni sacerdoti della Diocesi, dichiaratamente favorevoli all’indipendenza
di quell’enclave dall’Angola, la nomina di un vescovo non natio di Cabinda e, soprattutto,
imparentato con alte personalità del regime di Luanda, come nel caso del prelato scelto,
non giovava alla loro causa. C’è voluto molta diplomazia ecclesiastica per appianare
la situazione, anche se dal punto di vista socio-politico, la FLEC-FAC, Fronte (armato)
di Liberazione dell’Enclave di Cabinda, ha malamente ridato segno di vita, attaccando
nel 2010 la Nazionale del Togo, al suo arrivo a Cabinda per la Coppa d’Africa che
si svolgeva in Angola. Risultato: tre morti e nove feriti. Un messaggio forte al governo
di Luanda per portarlo a concedere l’indipendenza o per lo meno l’autonomia all’enclave,
che fornisce il 60% dell’abbondante petrolio angolano, ma che, secondo molti, langue
nell’oblio socio-economico. Una ‘zappa sui piedi’ da parte della FLEC, poiché da allora
non si è più avuta notizia di alcun negoziato sulla questione di Cabinda.
Alla
base della richiesta di indipendenza c’è il cosiddetto “Trattato di Simulambuco” siglato
il primo febbraio 1885 tra il Portogallo e i regnanti di Cabinda, che ha fatto dell’enclave
un protettorato della corona portoghese, la quale poté così far valere i propri diritti
su di essa nel famoso Congresso di spartizione dell’Africa, tenutosi a Berlino quello
stesso anno e in cui Francia, Inghilterra e Belgio manifestarono le loro pretese su
Cabinda.
Con il processo di indipendenza dell’Angola, sia il Portogallo che
i tre grandi movimenti di liberazione (MPLA, FNLA e UNITA) hanno, in qualche modo,
dato per scontato che Cabinda fosse parte dell’Angola, mentre molti cabindesi, tra
cui alcuni preti, continuano a reclamare una vera decolonizzazione prima di vedere
che strada intraprendere: indipendenza o autonomia.
Se umanamente ciò può
essere comprensibile, dall’altro l’Africae Munus, il documento che ha raccolto le
indicazioni del secondo Sinodo per l’Africa, ricorda ai sacerdoti che “Cedere alla
tentazione di trasformarvi in guide politiche o in operatori sociali, sarebbe tradire
la vostra missione sacerdotale e non servire la società che attende da voi parole
e gesti profetici”. Ed è stato lo stesso Sinodo per l’Africa del 2009 a ricordare
l’universalità della Chiesa e la necessità di accettare che i suoi ministri possano
svolgere la loro missione in qualunque parte del mondo, senza che la loro appartenenza
etnica o luogo di origine ne costituisca un impedimento.
E non è un caso che
il Nunzio Apostolico in Angola, mons. Novatus Rugambwa, abbia centrato l’omelia della
messa di chiusura del Congresso di Cabinda sul legame tra il sacerdozio e l’Eucaristia,
ricordando che sono nati insieme e che l’Eucaristia è la principale ragione e il centro
del sacerdozio. Il sacerdote, “docile strumento nelle mani di Cristo” è chiamato a
svolgere – ha sottolineato - vari compiti pastorali. Deve quindi fare attenzione a
non disperdersi, ma a “centrare la sua vita e il suo ministero nell’Eucaristia”, dono
di Cristo all’umanità, Sacrificio di un Dio fattosi uomo per la remissione dei nostri
peccati, e quindi fonte di riconciliazione, di giustizia, di pace.
A quale
altro tavolo sedersi tutti insieme per ritrovare la pace, l’unità e condividere il
pane?! Se il messaggio è chiaro per il presbitero che ha il privilegio di accostarsi
all’Altare del Signore e di ripetere ogni giorno in Suo nome la condivisione simbolica
del pane e del vino, non deve essere meno chiaro per chi ha il compito di garantire
la giustizia sociale e di ripartire equamente tra tutti le risorse nazionali, così
come Gesù ha fatto con i suoi discepoli, istituendo l’Eucaristia.
Tra le cause
di divisioni e ingiustizie che attanagliano l’Angola, ci sono i lunghi anni di guerra,
terminata nel 2002. Ma resta ancora da consolidare la pace, la riconciliazione, la
coesione sociale. È stato con questo intento che più di 40 angolani sono andati a
Dublino. Lì, molti hanno detto di aver pregato anche per l’unità e la comunione nel
loro Paese, soprattutto in questa delicata vigilia delle elezioni politiche previste
per fine agosto. Ma altri, come suor Maria da Conceição Adelina, Segretaria Nazionale
delle Scuole Cattoliche, è passata dal Congresso di Dublino a quello di Cabinda, portando
con sé il vigore per far sì che scuole, famiglie, società, agiscano insieme per la
promozione dei bambini, in modo che sappiano vivere sin dall’inizio l’Eucaristia come
un impegno a costruire la comunione con Dio e nella società.
Il Nunzio si
è mostrato convinto che presto il Congresso di Cabinda darà i suoi frutti. Ma i problemi
dell’Umanità, sappiamo, sono tanti e sparsi dappertutto. Cristo ha promesso di essere
con noi fino alla fine dei tempi. E a Lui, al suo esempio di donazione completa per
l’altro, di perdono, comunione e unità, possiamo sempre guardare per trovare il soffio,
la forza di camminare sulla retta via.
Nel suo sforzo di purificarsi e di bere
continuamente alla fonte della sua linfa vitale - l’Eucaristia - la Chiesa ci invita
ad aderire sempre alla comunione Eucaristica non per abitudine, ma coscienti delle
sue giuste conseguenze per la nostra vita privata e sociale. E nel farlo ogni giorno
siamo anche chiamati a fermarci ogni tanto per riflettere più approfonditamente sul
significato e la bellezza di questo gesto. L’appuntamento a livello mondiale è,
quindi, fissato per il 2016 a Cebù, nelle Filippine. Non mancare!
Maria
Dulce Araujo Evora – Programma Portoghese – Radio Vaticana.