2012-07-17 15:38:23

Da Dublino a Cabinda – Eucaristia: cammino di unità, comunione, purificazione…


Si è tenuto dal 10 al 17 giugno a Dublino il 50° Congresso Eucaristico Internazionale, sul tema “Comunione con Cristo e tra di noi”. Ad esso hanno partecipato migliaia di persone provenienti da 144 Paesi. E molti pastori, volendo portare i loro fedeli ad essere in sintonia con quell’evento di Dublino, importante per la Chiesa Universale, hanno svolto nello stesso periodo congressi diocesani sull’Eucaristia. È stato il caso della Diocesi di Cabinda, enclave tra l’oceano atlantico, la Repubblica del Congo e la Repubblica Democratica del Congo, che la separa a Sud dall’Angola a cui la provincia appartiene. Per Mons. Filomeno Vieira Dias, vescovo delle circa quattrocento mila anime, in gran parte cattolici, che abitano quel territorio di 7.250 kmq, si è trattato anche di metter in pratica l’invito che gli era stato rivolto da Giovanni Paolo II quando, nel 2005, lo ha nominato vescovo di Cabinda. Un’occasione anche per ricordare i 140 anni di celebrazione della prima messa cattolica a Cabinda e i 120 dell’ordinazione del primo sacerdote nativo di quel territorio. Ma soprattutto per dare vita ad “un grande momento di riflessione sulla centralità dell’Eucaristia nella vita della Chiesa e che ci rende capaci di agire in nome di Dio nel tempo e nella Storia” – ha sottolineato Mons. Vieira - senza dimenticare l’aspetto sociale. Alla stregua della donazione di Dio a noi nell’Eucaristia, siamo chiamati ad essere “una presenza solidale” nel mondo.

E’ la prima volta che è stato realizzato un Congresso Eucaristico nella Diocesi di Cabinda, mentre per l’Irlanda si è trattato di una seconda volta. Il primo Congresso Eucaristico Internazionale a Dublino si svolse nel 1932. Allora il clima era certamente diverso, si era in un periodo fiorente della Chiesa nel Paese, i cui antenati – ha detto il Papa nel suo video-messaggio ai partecipanti a Dublino – avevano saputo predicare, trasmettere l’amore per la fede e le virtù cristiane, il senso di penitenza, di perdono. Eredità che è nutrita, purificata, rinnovata sull’Altare del Signore nel Sacrificio Eucaristico della Messa. Ma tutto questo è stato scosso “in maniera orribile dalla rivelazione di peccati commessi da sacerdoti e persone consacrate nei confronti di persone affidate alle loro cure”, che hanno compiuto abusi su di essi invece di mostrare loro “la strada verso Dio”.

Per Benedetto XVI è un mistero che persone che hanno ricevuto regolarmente il Corpo del Signore nell’Eucaristia “abbiano offeso in tale maniera”. Forse per loro cibarsi del Corpo e Sangue di Cristo sull’altare era diventato una mera abitudine, precisamente ciò che il Concilio Vaticano II aveva cercato di combattere con la riforma liturgica e che ogni congresso eucaristico cerca di ribadire. In effetti, da sempre, specie nei momenti di smarrimento collettivo, la Chiesa ha rivolto lo sguardo al significato profondo dell’Eucaristia, come fonte di comunione con Cristo e tra gli uomini, per ritrovare la via giusta da seguire, “la strada verso Dio”.

La grande adesione degli irlandesi a questo 50° Congresso e la gioia con la quale lo hanno vissuto fa pensare che è stato certamente un balsamo per la Chiesa nel Paese. E non solo. Poiché, anche se di natura diversa, i problemi e le divisioni umane esistono ovunque. Cabinda non fa eccezione. E sicuramente tra gli obbiettivi del suo Congresso Eucaristico Diocesano, realizzato dal 16 al 24 giugno, c’era anche il desiderio di consolidare le basi di una fede cosciente delle proprie fondamenta, nell’Eucaristia, per rinforzare lo sforzo di comunione tra tutti in quel territorio.

La Diocesi di Cabinda ha conosciuto infatti dei momenti di turbolenza. Basti pensare che Monsignor Dias ha potuto insediarsi soltanto 14 mesi dopo la sua nomina. Per alcuni sacerdoti della Diocesi, dichiaratamente favorevoli all’indipendenza di quell’enclave dall’Angola, la nomina di un vescovo non natio di Cabinda e, soprattutto, imparentato con alte personalità del regime di Luanda, come nel caso del prelato scelto, non giovava alla loro causa. C’è voluto molta diplomazia ecclesiastica per appianare la situazione, anche se dal punto di vista socio-politico, la FLEC-FAC, Fronte (armato) di Liberazione dell’Enclave di Cabinda, ha malamente ridato segno di vita, attaccando nel 2010 la Nazionale del Togo, al suo arrivo a Cabinda per la Coppa d’Africa che si svolgeva in Angola. Risultato: tre morti e nove feriti. Un messaggio forte al governo di Luanda per portarlo a concedere l’indipendenza o per lo meno l’autonomia all’enclave, che fornisce il 60% dell’abbondante petrolio angolano, ma che, secondo molti, langue nell’oblio socio-economico. Una ‘zappa sui piedi’ da parte della FLEC, poiché da allora non si è più avuta notizia di alcun negoziato sulla questione di Cabinda.

Alla base della richiesta di indipendenza c’è il cosiddetto “Trattato di Simulambuco” siglato il primo febbraio 1885 tra il Portogallo e i regnanti di Cabinda, che ha fatto dell’enclave un protettorato della corona portoghese, la quale poté così far valere i propri diritti su di essa nel famoso Congresso di spartizione dell’Africa, tenutosi a Berlino quello stesso anno e in cui Francia, Inghilterra e Belgio manifestarono le loro pretese su Cabinda.

Con il processo di indipendenza dell’Angola, sia il Portogallo che i tre grandi movimenti di liberazione (MPLA, FNLA e UNITA) hanno, in qualche modo, dato per scontato che Cabinda fosse parte dell’Angola, mentre molti cabindesi, tra cui alcuni preti, continuano a reclamare una vera decolonizzazione prima di vedere che strada intraprendere: indipendenza o autonomia.

Se umanamente ciò può essere comprensibile, dall’altro l’Africae Munus, il documento che ha raccolto le indicazioni del secondo Sinodo per l’Africa, ricorda ai sacerdoti che “Cedere alla tentazione di trasformarvi in guide politiche o in operatori sociali, sarebbe tradire la vostra missione sacerdotale e non servire la società che attende da voi parole e gesti profetici”. Ed è stato lo stesso Sinodo per l’Africa del 2009 a ricordare l’universalità della Chiesa e la necessità di accettare che i suoi ministri possano svolgere la loro missione in qualunque parte del mondo, senza che la loro appartenenza etnica o luogo di origine ne costituisca un impedimento.

E non è un caso che il Nunzio Apostolico in Angola, mons. Novatus Rugambwa, abbia centrato l’omelia della messa di chiusura del Congresso di Cabinda sul legame tra il sacerdozio e l’Eucaristia, ricordando che sono nati insieme e che l’Eucaristia è la principale ragione e il centro del sacerdozio. Il sacerdote, “docile strumento nelle mani di Cristo” è chiamato a svolgere – ha sottolineato - vari compiti pastorali. Deve quindi fare attenzione a non disperdersi, ma a “centrare la sua vita e il suo ministero nell’Eucaristia”, dono di Cristo all’umanità, Sacrificio di un Dio fattosi uomo per la remissione dei nostri peccati, e quindi fonte di riconciliazione, di giustizia, di pace.

A quale altro tavolo sedersi tutti insieme per ritrovare la pace, l’unità e condividere il pane?! Se il messaggio è chiaro per il presbitero che ha il privilegio di accostarsi all’Altare del Signore e di ripetere ogni giorno in Suo nome la condivisione simbolica del pane e del vino, non deve essere meno chiaro per chi ha il compito di garantire la giustizia sociale e di ripartire equamente tra tutti le risorse nazionali, così come Gesù ha fatto con i suoi discepoli, istituendo l’Eucaristia.

Tra le cause di divisioni e ingiustizie che attanagliano l’Angola, ci sono i lunghi anni di guerra, terminata nel 2002. Ma resta ancora da consolidare la pace, la riconciliazione, la coesione sociale. È stato con questo intento che più di 40 angolani sono andati a Dublino. Lì, molti hanno detto di aver pregato anche per l’unità e la comunione nel loro Paese, soprattutto in questa delicata vigilia delle elezioni politiche previste per fine agosto. Ma altri, come suor Maria da Conceição Adelina, Segretaria Nazionale delle Scuole Cattoliche, è passata dal Congresso di Dublino a quello di Cabinda, portando con sé il vigore per far sì che scuole, famiglie, società, agiscano insieme per la promozione dei bambini, in modo che sappiano vivere sin dall’inizio l’Eucaristia come un impegno a costruire la comunione con Dio e nella società.

Il Nunzio si è mostrato convinto che presto il Congresso di Cabinda darà i suoi frutti. Ma i problemi dell’Umanità, sappiamo, sono tanti e sparsi dappertutto. Cristo ha promesso di essere con noi fino alla fine dei tempi. E a Lui, al suo esempio di donazione completa per l’altro, di perdono, comunione e unità, possiamo sempre guardare per trovare il soffio, la forza di camminare sulla retta via.

Nel suo sforzo di purificarsi e di bere continuamente alla fonte della sua linfa vitale - l’Eucaristia - la Chiesa ci invita ad aderire sempre alla comunione Eucaristica non per abitudine, ma coscienti delle sue giuste conseguenze per la nostra vita privata e sociale.
E nel farlo ogni giorno siamo anche chiamati a fermarci ogni tanto per riflettere più approfonditamente sul significato e la bellezza di questo gesto.
L’appuntamento a livello mondiale è, quindi, fissato per il 2016 a Cebù, nelle Filippine. Non mancare!

Maria Dulce Araujo Evora – Programma Portoghese – Radio Vaticana.








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