Post-elezioni in Libia. Il vicario apostolico di Tripoli: verso un governo equilibrato
e giusto
Sequestro eccellente in Libia. Il presidente del Comitato olimpico, Nabil al-Alam,
è stato rapito ieri a Tripoli da uomini armati e portato verso destinazione ignota.
L’organismo, durante il regime del colonnello Gheddafi, era retto da uno dei figli
del rais. Intanto, sul fronte politico, si commenta la vittoria alle recenti elezioni
del moderato Mahmoud Jibril e del suo partito. Battuti nettamente i Fratelli Musulmani,
che invece avevano vinto in Egitto. Sull’esito delle consultazioni in Libia la nostra
collega della redazione in lingua tedesca, Anne Kathrin Preckel, ha intervistato
il vicario apostolico di Tripoli, mons. Giovanni Innocenzo Martinelli:
R. - Mi sembra
che sia abbastanza evidente la volontà dei libici di avere una persona che sia l’espressione
del popolo libico, dopo 42 anni di dittatura. Penso che Jibril sia la persona adatta,
perché ha il consenso di tanta gente in Libia.
D. - La vittoria di Jibril
non significa, però, che l’Assemblea Nazionale sarà composta solo dai moderati liberali...
R.
- Sicuramente ci saranno anche i liberali, come ci saranno anche i musulmani. In questa
realtà, in questa composizione, però, lui dovrebbe dare un senso di omogeneità all’Assemblea.
Adesso dovranno discutere come e se dare la possibilità a diverse persone di poter
servire il Paese. Io penso che Jibril riuscirà a mantenere l’equilibrio e quindi ad
avere il consenso per poter fare un governo equilibrato e giusto.
D. - C’erano
delle tensioni nel contesto delle elezioni: com’è adesso la situazione fra la popolazione?
R.
- Ci sono state delle aggressioni, soprattutto a Bengasi, ma sono convinto che quelli
che hanno disturbato l’opinione pubblica, davanti a questo risultato devono arrendersi
e riconoscere che è stato trovato un equilibrio che potrà consentire di governare.
D. - In che situazione si trova la minoranza cristiana?
R. - La Chiesa
è straniera e, in quanto tale, noi assistiamo, partecipiamo, preghiamo e godiamo dell’amicizia
di tante persone che sono presenti e che, in qualche modo, vogliono anche bene alla
Chiesa. Direttamente, però, noi come Chiesa siamo tutti stranieri: è una Chiesa di
diaspora, una Chiesa che tuttavia è riferimento per la comunità cristiana, ma anche
dei musulmani che guardano la Chiesa come un punto di equilibrio per l’ottenimento
di una stabile pace sociale; guardano a noi con simpatia, ma assolutamente noi non
siamo nella politica libica. Diciamo anche che i cristiani presenti in Libia sono
tutti stranieri, soprattutto afro-asiatici: i sacerdoti sono filippini, egiziani,
italiani. Noi guidiamo una Chiesa che ha una struttura straniera, una presenza veramente
impegnata a servire il Paese con diverse opere sociali, attraverso l’amicizia con
il mondo libico.
D. - E la situazione della libertà religiosa è cambiata?
R.
- La libertà religiosa fa parte un po’ della struttura del mondo arabo-libico. Il
libico ha sempre rispettato la Chiesa; l’ha considerata come importante parte sociale
di un Paese in evoluzione, aperto al dialogo con il mondo cristiano e quindi ci danno
tutta la libertà necessaria per essere presenti, per dialogare e per servire questo
popolo, anche perché, attraverso le componenti cristiane, ricevono il servizio negli
ospedali o nelle case di cura. La Chiesa vive di questa libertà, noi godiamo di questa
libertà e quindi serviamo con gioia e nel dialogo questo Paese.