2012-07-15 14:38:10

"Vescovo di libertà e speranza": il ricordo della sorella di mons. Mazzolari a un anno dalla sua scomparsa


Il Sud Sudan ha ricordato ieri mons. Cesare Mazzolari, vescovo di Rumbek. Nella Cattedrale della Sacra Famiglia è stata celebrata in mattinata una Messa per ricordare la sua scomparsa, avvenuta il 16 luglio 2011 a causa di un malore che lo aveva colto mentre celebrava l’Eucaristia. Per trent’anni, mons. Mazzolari ha dedicato la sua vita ai sudanesi che lo hanno amato moltissimo. Quale l’eredità lasciata dal missionario comboniano? Benedetta Capelli lo ha chiesto alla sorella, Marianna Mazzolari:RealAudioMP3

R. – Senz’altro, ha lasciato una grande eredità: aveva grandi progetti per la sua gente. Ne aveva iniziato uno molto importante e quello ce lo ha lasciato in eredità e noi sentiamo fortemente il desiderio di portarlo a termine: si tratta della scuola di Cuiebet. L’eredità che ci ha lasciato personalmente, a me come sorella e alla famiglia, è senz’altro un qualcosa di spirituale, perché come sacerdote sapeva darmi molto. Per noi, per la nostra famiglia è stata ed è una grande mancanza. Sentiamo un grande vuoto…

D. – Quello che emerge di mons. Mazzolari è una completa identificazione con la storia del Sud Sudan: in fondo se ne è andato quanto questo Paese ha raggiunto l’indipendenza…

R. – Esatto. Lui aveva questa grande ansia di far conoscere la situazione del Sud Sudan. Era felicissimo e provava grande gioia, perché la sua gente stava arrivando all’indipendenza. La gente era felice e di riflesso lo era anche lui.

D. – Molti lo hanno definito un vescovo di speranza e di libertà: è una definizione che lei sente appropriata per suo fratello?

R. – Erano parole che lui diceva sempre, perché parlava sempre di speranza e di libertà per il suo popolo. Queste erano parole che pronunciava tanto. Io ho avuto modo di andare tre volte in Sudan e ho dei ricordi veramente emozionanti con la sua gente. Quando sapevano che ero la sorella, mi tributavano un tale ringraziamento: tutti mi abbracciavano, con gioia. Sentivano "Mazzolari" e solo all'udirlo gioivano, saltano, si mettevano a ballare, mi facevano festa. Questo per me aveva un grande significato. Una manifestazione così non la si fa a tutti… Per loro rappresentava senz’altro una speranza e questo loro me lo dicevano. Sono stata in Sudan anche ai funerali e ho avuto cosi tante manifestazioni: io non capivo la loro lingua, loro non capivano la mia, ma con i gesti sapevano dirmi il loro grande dispiacere. Sono state tante le donne che sono venute ad abbracciarmi; mi facevano segno che i loro occhi piangevano e il loro cuore era triste. Con l’espressione mi dicevano tutte queste cose. Lui ha lavorato tanto per le donne: anche questa scuola – che era il suo grande progetto – è nata dalle donne, che hanno manifestato il desiderio di istruzione per i loro figli. Avevano capito che l’istruzione poteva dar loro la possibilità di conoscere, di portare avanti il loro Paese, che è così martoriato e che ha tanto bisogno di risorgere. I funerali sono stati, per me, una cosa grandissima. Lui era così umile in tutte le sue cose che credo, vedendo tutto quello che è stato fatto, direbbe: no, non ho tutto questo merito! Ha dedicato i suoi ultimi 30 anni di vita ad un Paese che voleva aiutare e questo la gente lo ha compreso: è stata vicino a lui e hanno cercato insieme qualcosa per far risorgere questo Paese.

D. – Mons. Mazzolari le raccontava mai di avere delle difficoltà, invece, in questo Paese?

R. – Lui raccontava, ma non diceva molto. Sa che io tante cose le ho saputo dopo: certi fatti e certe situazioni le abbiamo conosciute soltanto dopo. Io ho ricevuto tantissima posta. Lui in famiglia non diceva molto, probabilmente per lascarci tranquilli. Quando era con noi, ci stava anche tanto poco, vivevamo il pranzo, la sua Messa celebrata in casa era per noi una cosa veramente speciale. Lo abbiamo sempre chiamato padre Cesare, mai Cesare: anche noi fratelli, noi famiglia, perché sin da quando siamo nati la nostra mamma ci ha insegnato il rispetto verso di lui. Ci manca tantissimo… Era dolcissimo: nelle ricorrenze ci chiamava, ai compleanni ci mandava dei biglietti bellissimi, con delle immagini e delle parole che erano solo sue e che ci toccavano. Gli davo informazioni delle persone che venivano a mancare dalla nostra famiglia e lui scriveva delle lettere bellissime da consegnare ad ogni famiglia. Quando veniva a mancare qualcuno della nostra famiglia, si aspettava un suo biglietto: era veramente un biglietto di consolazione.

D. – Come vorrebbe che suo fratello fra dieci anni fosse ricordato?

R. – In modo molto semplice. In questi giorni ci sono tanti avvenimenti, ma la cosa a cui tengo veramente di più è la messa nella Chiesa dei Comboniani, dove lui è entrato quando era ancora un ragazzino, aveva solo nove anni. Io ci tengo particolarmente a questa Messa, perché per me è il momento più sentito e in cui me lo sento più vicino.

Ultimo aggiornamento del 16 luglio 2012







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