2012-07-13 14:24:29

Mali: una forza internazionale per mettere fine alle violenze


La Francia ha prospettato la possibilità di un intervento militare esterno in Mali, dopo le violenze commesse dagli estremisti islamici nel nord del Paese. Per combatterli si sta facendo largo l’idea di dispiegare una forza dell'Unione Africana, con il sostegno dell'Onu e della Nato. Intanto, le autorità del Paese hanno deciso di ricorrere alla Corte penale internazionale (Cpi) di fronte alla distruzione, in particolare dei mausolei, da parte dei gruppi armati legati ad Al Qaeda. Benedetta Capelli ha chiesto l'opinione di Giampaolo Calchi Novati, docente di Storia dell’Africa alla Sapienza di Roma:RealAudioMP3

R. – La moltiplicazione di interventi rischia di alimentare una situazione di guerra diffusa in una zona che è già toccata ed è praticamente una zona di guerra perché, al di là dei singoli episodi, la zona sahelo-sahariana è un teatro di guerra, dichiarata o non dichiarata, fra il mondo occidentale nel suo insieme, qualche alleato locale del mondo africano e il cosiddetto sistema jihadista, che poi fa riferimento ad Al Qaeda - che fra l’altro ha in questa parte dell’Africa anche una Al Qaeda specifica che viene chiamata del "Maghreb islamico." C’è una specie di rincorsa: situazioni di carattere nazionale, locale, attingono a cause globali per ottenere armi, appoggi internazionali, etc. e, viceversa, queste guerre a livello mondiale finiscono per alimentare i conflitti locali. E' è un circolo vizioso, quindi, che non si sa fin dove interventi dall’esterno possano interrompere o non piuttosto alimentare.

D. - Molti, parlando del Mali, definiscono questo Paese ultimamente come il "nuovo Afghanistan". Secondo lei, può essere una definizione appropriata?

R. – Il Mali dell’Afghanistan non ha niente, a meno di non paragonare all’Afghanistan qualsiasi Paese dove sia in atto un processo di re-islamizzazione. Credo che oggi il paragone più preciso sia con il processo di militarizzazione della regione. Tra l’altro, va ricordato che in Mali la popolazione è tendenzialmente islamizzata, lo sono anche le popolazioni nere, songhaï, peuls che si contrappongono per altri versi i tuareg sono islamizzati e l’islamismo è fortemente presente. L’aspetto un po’ particolare è dato da questa alleanza tattica, per certi versi anche controproducente, che il movimento nazionalista dell’Azawad ha stabilito con il movimento jihadista che fa riferimento ad Al Qaeda. Probabilmente, anche questo riferimento ad Al Qaeda suscita qualche verosimiglianza, un paragone, a lunga distanza con l’Afghanistan.

D. – Vede un rischio di propagazione nell’area?

R. - A dire la verità, questa propagazione è un po’ reciproca. Credo che il Mali a sua volta sia stato influenzato da eventi che vengono da altre parti. Si arriva fino a immaginare che ci siano stati collegamenti tra gli shebaab della Somalia ed esponenti che hanno dato origine a questa agitazione nella regione del Mali. Più in generale, c’è un appostamento verso sud dell’attività di guerriglia o di resistenza residuale in parte del famoso periodo di terrorismo dell’Algeria. Si parla di una propagazione dell’instabilità e della militarizzazione a causa dell’esodo di alcune centinaia, forse migliaia, di combattenti dell’esercito libico che avrebbero portato in giro armi e anche militanti. Quindi, come si vede, c’è proprio una completa osmosi di fenomeni, tutti su uno stesso sfondo, fondamentalmente. Credo che, se si dovesse proprio essere molto netti, sia in corso un processo di islamizzazione dell’Africa e, se vogliamo, di "arabizzazione" dell’Africa e questo ovviamente altera gli equilibri di carattere internazionale.







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