Ancora violenze nel villaggio siriano di Tremseh: unanime la condanna delle atrocità
sui civili
All'indomani del massacro a Tremseh, il villaggio siriano della provincia di Hama
dove ieri sarebbero state trucidate oltre 220 persone, le forze di sicurezza e i miliziani
irregolari loro alleati, continuano a circondare in forze l'abitato. Unanime la condanna
delle violenze commesse la maggior parte su civili. Il servizio di Adriana Masotti:
Di operazioni
militari ancora in corso a Tremseh parlano gliosservatori Onu che ieri avevano
"verificato violenze continuate”. Elicotteri d'attacco delle forze armate siriane
continuano anche oggi a martellare il villaggio, riferisce una pattuglia della missione
che è riuscita ad avvicinarsi fino a 6 km da Tremseh. Oltre 100 le esplosioni udite,
mentre secondo alcuni residenti, 50 sarebbero le persone uccise e 15 i feriti. L'inviato
speciale per la crisi in Siria di Lega Araba e Onu, Kofi Annan, si è detto "scioccato
e inorridito" per quanto accaduto nel villaggio. "Condanno queste atrocità nel modo
più assoluto. E' un altro promemoria degli orrori a cui i siriani vengono sottoposti",
ha affermato. Per la Casa Bianca le ulteriori "atrocità" commesse dalle forze di
Bashar el Assad eliminano ogni dubbio sulla necessità di una risposta internazionale
coordinata all'Onu contro il regime che ormai ha perso ogni legittimità. Ed è pressante
l’appello di mons. Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria che ai Paesi del Consiglio
di sicurezza Onu, in particolare Cina e Russia, e Lega Araba chiede di mettere da
parte le divisioni e di lavorare in modo concreto per fermare una carneficina che
in 16 mesi è costata oltre 14mila morti. Oggi, intanto, dopo la preghiera del venerdì
a Damasco si è svolta non lontano dal centro una manifestazione di protesta contro
el Assad. In giornata, secondo gli attivisti dei Comitati di Coordinamento Locali,
almeno 47 persone sono state uccise dalle forze di sicurezza in diverse città della
Siria. Intanto crescono le defezioni: altri due generali oggi hanno disertato dalle
forze armate: i due, insieme a un certo numero di soldati, hanno attraversato la frontiera
con la Turchia per unirsi ai ribelli accampati oltre confine. Sale così a 17 il numero
degli alti ufficiali e funzionari siriani che hanno abbandonato il regime.
Ed
è stato annunciato ufficialmente che si terrà il 16 luglio a Mosca il colloquio tra
l'inviato speciale per la Siria, Kofi Annan, ed il ministro degli Esteri russo, Sergei
Lavrov. Obiettivo del faccia a faccia, cercare una soluzione praticabile per risolvere
la crisi. Sull’escalation di violenza in atto nel Paese, Salvatore Sabatino
ha intervistato Vittorio Parsi, docente di Relazioni internazionali presso
l’Università Cattolica di Milano:
R. – A me sembra
che il regime di Assad abbia deciso ormai di esasperare i toni della guerra civile,
nel senso che sta tentando una soluzione militare. Probabilmente, è consapevole delle
poche probabilità che ha di vincere complessivamente la guerra civile, ma nello stesso
tempo è anche consapevole del sostanziale blocco della comunità internazionale che
non sarà a tempo indefinito per cui c’è in qualche modo un’accelerazione di questa
crisi.
D. – Blocco della comunità internazionale che vede la Russia continuare
ad appoggiare il regime. Come si potrà risolvere questa situazione?
R. – Quella
che è in corso in Siria è comunque una guerra civile in cui le violenze vengono commesse
da entrambi le parti e la violenza che si è scatenata spinge molte delle componenti
della società siriana, non necessariamente “assadiste”, a stare dalla parte di Assad
preoccupata da quello che potrebbe succedere dopo. Tanto più se i ribelli vedono prevalere
le forze più radicali, come è ragionevole che succeda, mano a mano che lo scontro
si fa più violento. E questo credo che sia un calcolo di Assad: far emergere i più
radicali nelle forze ribelli per guadagnarsi sostegno e per tenere sotto di sé tutti
quelli che pensano che alla fine la sua dittatura sia il male minore. Detto questo,
credo che l’unico modo di uscirne sarebbe uno sblocco della posizione russa, che è
molto difficile. In questo momento, i russi pensano che sia prevalente mantenere l’appoggio
al loro alleato che in qualche modo offre ancora una possibilità di rientro in Medio
Oriente, dopo tanti anni che la Russia era sparita dall’area.
D. – Cosa potrebbe
a questo punto far cambiare posizione alla Russia?
R. – Bisogna calcolare che
la Russia ha una popolazione musulmana prevalentemente sunnita importante. Le proiezioni
demografiche ci dicono che nei prossimi 20-30 anni la minoranza musulmana russa sarà
una minoranza molto consistente. Allora, se dovessero scatenarsi attentati nelle province
russe a maggioranza musulmana, dal Caucaso all’Asia centrale, allora questo potrebbe
indurre Mosca a rivedere la sua posizione. Non è escluso che qualcuno non stia iniziando
a pensare di suscitare tutto sommato un minimo di risveglio di irredentismi ossetini,
ceceni, e quant’altro, collegati alla strage di fedeli musulmani contro il regime
di Assad.
D. – Sullo sfondo della crisi siriana c’è il piano di pace di Kofi
Annan, che in molti definiscono morto ma che lo stesso mediatore di Onu e Lega araba
continua comunque a difendere. E’ un piano secondo lei che ha fallito totalmente o
in qualche modo può essere rivisto e riportato in campo?
R. – Fare la spola
tra i vari attori della regione costringe tutti a considerare che la situazione è
complessa, e che se si cerca una soluzione politica, questa avrà, di necessità, compromessi
che dovranno essere tentati perché l’alternativa a questo è uno sblocco violento della
situazione. Sblocco che può venire o facendo pressione – che è un eufemismo – sulla
Russia, affinché cambi posizione, oppure da qualche evoluzione nel quadro regionale
che coinvolga la Siria senza avere la Siria per obiettivo. Tanto per essere chiari:
se la questione del nucleare iraniano porta a qualche nuova accelerazione, allora
questa inevitabilmente è una delle conseguenze anche sugli squilibri della Siria senza
che necessariamente siano prese iniziative dirette sulla Siria.