Riapre il Duomo di Modena. Mons. Lanfranchi: segno di speranza per l'Emilia
Il Duomo di Modena è stato oggi ufficialmente riaperto al culto, dopo la chiusura
precauzionale a seguito delle scosse di terremoto del 20 e del 29 maggio che hanno
colpito l’Emilia. Alcune crepe già esistenti e la caduta di qualche pietra a causa
delle scosse avevano infatti richiesto una temporanea chiusura per la messa in sicurezza
delle volte. Per la popolazione emiliana la riapertura del Duomo è un segno di speranza,
come sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco l’arcivescovo di Modena, mons.
Antonio Lanfranchi:
R. – Lo è soprattutto
per la città di Modena perché c’è un grande attaccamento al proprio Duomo. I modenesi
vengono chiamati anche “Gemignani” proprio dal santo protettore, le cui spoglie sono
nella cripta del Duomo e c’è una convergenza naturale proprio verso il centro storico
e, in particolare, verso la Cattedrale che è sempre molto frequentata. Quindi averla
vista chiusa in questo periodo, praticamente dal terremoto, stringeva un po’ il cuore;
vederla riaperta è un segno di speranza, segno anche di recupero della propria storia.
Il Duomo di Modena è un monumento insigne per arte per la storia era visitato ogni
giorno da numerose scolaresche e anche da visitatori interessati proprio all’arte
e quindi anche c’è questa componente importante.
D. – C’è anche un’altra componente
storica. Infatti l’odierna riapertura del Duomo coincide con l’anniversario della
dedicazione della Cattedrale presieduta il 12 luglio 1184 da Papa Lucio III…
R.
– E’ stata scelta proprio questa data significativa perché in ogni parrocchia si celebra
la dedicazione della propria Chiesa. In questo caso, si tratta della dedicazione della
Chiesa madre e, quindi, della Chiesa a cui sono collegate tutte le altre chiese. Per
questo il segno di speranza è per la Chiesa madre e, quindi, ha una ricaduta su tutta
la diocesi.
D. – La riapertura al momento è solo parziale. Questo vuol dire
che occorrono ancora dei lavori?
R. – C’è ancora indubbiamente da mettere in
sicurezza, per precauzione, qualche particolare della volta. A settembre credo che
il Duomo sarà aperto a pieno ritmo.
D. –In Emilia circa la metà delle chiese
sono gravemente danneggiate o inagibili. Come stanno procedendo i lavori per la messa
in sicurezza o la ricostruzione degli edifici di culto?
R. –Si è conclusa un
po’ la fase di ricognizione e si procede alle altre fasi, quella della messa in sicurezza
e degli interventi da fare. Per la diocesi di Modena tutte le chiese del basso modenese,
una cinquantina di chiese, sono state danneggiate, distrutte o gravemente danneggiate.
Altre invece hanno avuto danni minori. Si tratta quindi adesso di procedere anche
a strati. Penso che qualche chiesa fra qualche mese sia in grado di ospitare le celebrazioni
e quindi entro Natale alcune chiese verranno certamente restituite alle proprie comunità.
Per altre ci vorrà un po’ più di tempo e per altre purtroppo ci vorranno anni. Penso
al Duomo di San Felice o anche al Duomo di Finale Emilia dove i lavori saranno più
ingenti e anche più delicati. Comunque, il progetto e anche il desiderio condiviso
è quello di arrivare all’inverno dotando tutte le comunità di un luogo di culto che
è costituito da quelli che chiamiamo anche le sale della comunità oppure di chiese
prefabbricate.
D. – In Emilia, intanto, è stata registrata nella notte un’ennesima
scossa, fortunatamente di lieve intensità. L’emergenza non sembra avere fine. Come
la popolazione sta convivendo con questo sciame interminabile?
R. – Sta superando
la paura, molti hanno abbandonato le tende. Sono ritornati nelle proprie abitazioni,
dove era possibile, oppure in altri ambienti messi a disposizione da amici o dalla
società. Indubbiamente, adesso nelle tende il caldo si fa sentire. Stanno diminuendo
proprio anche coloro che sono alloggiati ancora nelle tendopoli. Ieri proprio a Finale
Emilia mi ha fatto impressione vedere proprio sugli steccati che ne limitavano ancora
la zona un po’ pericolosa gli avvisi: “Riapriamo”. Sono piccoli segni che la vita
sta riprendendo nei suoi ritmi normali.
D. – L’approvazione del decreto legge
sugli aiuti alle aree terremotate con l’istituzione di un fondo, in tre anni, di 2,5
miliardi di euro per la ricostruzione è un primo passo proprio per avviare un percorso
virtuoso…
R. – Fondamentale, perché il lavoro è un impegno primario; la ricostruzione
dipende molto anche dalla possibilità di lavoro. Sarebbe un grave danno se le imprese
non potessero riprendere in breve tempo perché questo significherebbe o traslocare
in altri ambienti, magari con l’intenzione che questo ‘trasloco’ sia momentaneo, ma
poi sappiamo come può avvenire. C’è il rischio proprio di quella che veniva chiamata
una desertificazione, cioè un abbandonare definitivamente questi luoghi. Quindi, tutti
gli sforzi che si fanno per mantenere il lavoro in questi luoghi sono segni di vitalità,
sono segni di futuro. Devo dire che in molti imprenditori che ho conosciuto c’è proprio
la ferma volontà di ripartire e quindi vanno sostenuti.