2012-07-12 10:57:03

Mons. Padilla: inquietudine per l’avvenire della Chiesa in Mongolia


Si sono conclusi ieri i due giorni di festeggiamenti per il 20.mo anniversario della presenza della Chiesa cattolica in Mongolia. Ma il bilancio che traccia mons. Wenceslao Padilla, prefetto apostolico di Ulan Bator, è in chiaroscuro. In una Lettera pastorale intitolata “Celebrare i 20 anni della presenza cattolica in Mongolia”, mons. Padilla ricorda la difficile nascita della piccola comunità cattolica nel Paese, avviata nel 1992 per opera di tre missionari della Congregazione del Cuore Immacolato di Maria: “Costituita all’inizio da zero fedeli – scrive il presule – oggi essa conta più di 835 fratelli e sorelle nella fede, senza pensare a tutti coloro che si preparano al battesimo”. Quindi, il prefetto apostolico di Ulan Bator cita i tanti passi avanti compiuti negli ultimi due decenni: i numerosi centri di accoglienza gestiti dalla Chiesa e destinati ai bambini di strada, ai giovani, agli anziani e ai disabili; i tanti centri sanitari per i più poveri; l’impegno dei missionari nel settore dell’istruzione che ha portato all’apertura di asili, scuole primarie, biblioteche e centri sociali. Ma tra tante luci, non mancano le ombre: nella sua Lettera pastorale, mons. Padilla cita, da una parte, la crisi economica che si è riversata sulla società mongola; dall’altra, la scoperta del potenziale minerario del Paese che ha “profondamente modificato la vita della popolazione e che avrà gravi conseguenze sulla Chiesa”. Infatti, secondo mons. Padilla, “l’apparente prosperità nasconde un’inflazione galoppante”, mentre il governo, “in modo incoerente, distribuisce a ciascun cittadino del denaro e delle azioni delle società minerarie”. Lo Stato, inoltre, “invece di sviluppare l’economia, permette alle imprese meno attente alla questione ecologica di saccheggiare le risorse naturali della Mongolia”. Tutto questo, scrive mons. Padilla, “va a scapito della Chiesa cattolica che, in quanto organismo non a scopo di lucro, non gode dei benefici economici promessi ai cittadini”. Essa, infatti, “dipende dai fondi esteri per sopravvivere e portare avanti il suo servizio alla popolazione; tuttavia, negli ultimi tempi, la recessione economica e la propaganda governativa sulla nuova prosperità della Mongolia hanno dissuaso i donatori a contribuire come negli anni precedenti”. “È probabile quindi – sottolinea il presule – che i missionari dovranno rinunciare a gran parte dei loro progetti”. Ma i problemi non finiscono qui: come afferma padre Kuafa Hervé, vicario della Chiesa locale dei Santi Pietro e Paolo, il tono dei rapporti tra la Chiesa e lo Stato mongolo “non è più molto amichevole”. La rinascita dello sciamanesimo e una certa diffidenza nei confronti dell’Occidente, al quale è sempre associato il cristianesimo, infatti, “hanno fatto cambiare l’atteggiamento del governo e di una gran parte della popolazione”, tanto che ora “non è più permesso evangelizzare all’esterno delle istituzioni della Chiesa, i minori di 16 anni devono avere l’autorizzazione scritta dei loro genitori per frequentare il catechismo e i sacerdoti non possono più portare segni distintivi in pubblico”. Insomma, conclude padre Hervé, si tratta di “una Chiesa sotto sorveglianza” che, in qualche caso, ha vissuto anche il divieto di celebrare la Messa in alcune regioni del Paese. Tuttavia, il tono conclusivo della Lettera di mons. Padilla è pieno di speranza: “Il ruolo della Chiesa resta lo stesso – afferma il presule – ovvero testimoniare il Vangelo, con i suoi valori, ed insegnare ad accogliere e sostenere i più poveri”. (A cura di Isabella Piro)







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