Israele e le tensioni nello scacchiere mediorientale: l'analisi di Eric Salerno
Il fronte israelo-palestinese si infiamma, con una serie quotidiana di lanci di razzi
da Gaza e – in risposta – di raid aerei dello Stato ebraico. Uno stillicidio di vittime
che scava il solco di nuove tensioni, in realtà mai sopite, ma che in questo momento
sono messe in ombra dalle violenze siriane e dalla difficile normalizzazione egiziana.
Sulla situazione in Israele e nell’intera area, Salvatore Sabatino ha intervistato
Eric Salerno, esperto di Medio Oriente del quotidiano Il Messaggero:
R. – Sul fronte
interno israeliano, a livello politico, tutto il dibattito è incentrato sulla questione
che riguarda gli ebrei-ortodossi e il servizio militare: se devono farlo, per quanto
tempo e come. Questo riguarda anche gli arabi di Israele, che qualcuno vorrebbe reclutare
nelle forze armate. Secondo elemento di discussione: se Israele intenda attaccare
l’Iran o no. La questione palestinese, invece, praticamente non esiste. In questo
momento, non esiste nemmeno per i palestinesi che non stanno facendo niente. Parlano
forse di andare all’Assemblea generale dell’Onu, a settembre, per rinnovare la loro
richiesta di riconoscimento della Palestina come Stato indipendente.
D. – Il
ministro degli Esteri, Lieberman, poche settimane fa ha detto che la situazione in
Egitto è molto complicata e non è un caso forse che Israele abbia annunciato che installerà
una batteria di anti-missili sulla frontiera meridionale con l’Egitto. Insomma, una
situazione di crescente tensione su quel fronte…
R. – Ci sono stati alcuni
incidenti. L’anno scorso c’è stato un attacco nel Sinai egiziano, contro macchine
che transitavano lungo il confine dalla parte israeliana, nei pressi di Eilat - zona
turistica sul Mar Rosso - ovviamente, si teme in Israele che possano succedere altri
incidenti di questo tipo, anche perché in questo momento guardano al Sinai come un
territorio in balia di bande più o meno organizzate: organizzazioni qaidiste, movimenti
di beduini che sono trafficanti d’armi e di altre cose. Loro sostengono che le forze
armate egiziane - nonostante un rafforzamento della loro presenza nel Sinai, autorizzato
da Israele nel quadro di una revisione degli accordi di pace - non sono in grado di
controllare la situazione e si teme quindi una escalation di violenza.
D.
– Anche sul fronte siriano, ovviamente, non mancano le preoccupazioni nello Stato
ebraico, per lo più con il rischio di contagio che questa guerra può avere sul Libano,
che da sempre è un vicino abbastanza pericoloso…
R. – Credo che ciò che soprattutto
preoccupa Israele è che, dopo Assad, in Siria - perché ci sarà prima o poi un dopo
Assad, anche se non si tratta di una transizione politica, qualcosa sta pur sempre
accadendo - possa venir fuori una spaccatura del Paese, o una riunificazione del Paese
sotto forze che possono essere ancora meno disponibili di Assad. Bisogna ricordare
che Assad ha sempre mantenuto i patti con Israele: suo padre e lui hanno sempre impedito
attacchi lungo il confine comune tra i due Paesi. Il timore di azioni terroristiche
sul Golan, o nella zona limitrofa, il timore del Libano, riguardano Israele fino ad
un certo punto: Israele guarda al Libano più come una minaccia presentata da Hezbollah,
ed Hezbollah semmai è vicino ad Assad e all’Iran. Non è certamente un gruppo - essendo
loro sciiti - che potrebbe legare con i qaidisti o con altri elementi siriani, che
sono più vicini ai Fratelli musulmani, che non sunniti.