2012-07-11 14:49:27

Nata la prima bambina nell'ospedale Cimpaye, in Burundi, grazie ai fondi della Regione Sicilia


E’ nata il 7 luglio scorso la prima bambina nell’ospedale Cimapaye Sicilia, in Burundi. Una grande gioia per i genitori ma anche per il personale della struttura, aperta grazie alla Fondazione San Raffaele Giglio di Cefalù. L’ospedale è stato costruito dalla locale diocesi grazie ai fondi della Regione Sicilia in un’area poverissima dove costantemente le donne muoiono di parto. Il servizio di Benedetta Capelli:RealAudioMP3

Ci sono due circostanze che rendono questa storia affascinante. La prima è che la bambina nata lo scorso 7 luglio si chiama come l’ospedale nel quale ha visto la luce per la prima volta ossia “Dono di Dio”. La seconda è che la sua venuta al mondo non è stata una gioia solo per i suoi genitori, al quinto figlio, ma anche per tutta la comunità di medici e infermieri che in Burundi hanno lasciato il cuore. Si tratta del personale del San Raffaele Giglio di Cefalù, che da tempo compie missioni sanitarie per supportare i loro colleghi africani e portare materiale, donato anche da altri ospedali siciliani, una cosa non scontata di questi tempi. Una felicità partita dunque da uno dei Paesi più poveri al mondo e arrivata fino al sud Italia. Il presidente del San Raffaele Giglio, Stefano Cirillo:

“Una grande emozione perché raccogliamo finalmente un risultato dopo un paio di anni spesi a lavorare per questo progetto umanitario. Questo era un progetto già iniziato da altri, rimasto un’opera incompiuta, in Burundi - un’area tra le più povere del mondo - dove la mortalità infantile, neonatale e materna è tra le più alte. Un’area assolutamente non coperta dal punto di vista sanitario, quindi, l’aver completato un ospedale, averlo arredato, averlo reso fruibile prima con attività ambulatoriali, oggi anche con quelle chirurgiche - con una sala parto ed una sala operatoria - per noi è un grande risultato”.

Tutto inizia con un incontro avvenuto a Roma nella sede della Fao. In quell’occasione il presidente del Burundi chiese aiuto a Stefano Cirillo nell’organizzazione della sanità del Paese. Poi la partenza di una missione del San Raffaele Giglio, la scoperta di un ospedale non completato e la decisione di ripartire da quelle mura. Ancora Stefano Cirillo:

“Esistono soltanto capanne e si raggiunge l’ospedale a piedi, dopo ore di cammino. Noi abbiamo avuto questa opportunità all’inizio di giugno - volendo provare ecografi e volendo addestrare un po’ di personale medico e gli infermieri - e nel tentativo appunto di far venire qualche persona, ci siamo trovati dietro la porta dell’ospedale centinaia di donne gravide che erano venute a piedi da tutte le campagne facendo ore ed ore di cammino. Bisogna ricordare che questa è un’area dove non esiste assolutamente niente, dove c’è povertà assoluta. Noi vogliamo dare loro una speranza su un’assistenza, che diventa anche molto spesso la soluzione alla sofferenza e soprattutto la possibilità di salvare tante mamme. Per quanto riguarda la mortalità materna - postpartum o intrapartum - mentre da noi muore di parto una donna ogni 100mila, là muore una ogni 100. C’è una bella differenza”.

Molte le persone coinvolte in questa missione e tra di loro c’è il dott. Rosario Squatrito:

“Da un punto di vista umano è un’esperienza estremamente importante perché è un Paese molto difficile con una realtà molto complessa che però ci ha accolto in maniera affettuosa e soprattutto con un grande bisogno. Dal punto di vista professionale è stata anche un momento di scommessa perché in un Paese in cui veramente tutto è molto più complesso tutto è reso difficile dalla logistica, dalla cultura e dall’assenza di molte risorse fondamentali, essere medico in una realtà del genere assume ancora di più un ruolo estremamente importante e interessante anche per noi. Non abbiamo intenzione di sostituirci ai loro medici e ai loro infermieri ma vogliamo rendere i loro medici e i loro infermieri autonomi nella gestione delle attività e trasferire tutto il nostro supporto per tutto quello che può essere l’ambito sanitario e organizzativo”.

Appena tornato dal Burundi Vincenzo Modena, coordinatore infermieristico:

“La mia attività è stata su due fronti, quello della formazione del personale medico e infermieristico e quello della logistica, cioè predisporre i locali, i carrelli, gli armadi, tutti i luoghi di lavoro con tutto il materiale occorrente per le attività che in quel locale deve essere svolto. Sapere che la bambina è nata all’interno di una struttura che il sottoscritto, insieme ai compagni, ai colleghi, ha messo a disposizione sia da un punto di vista delle conoscenze ma anche da un punto di vista fisico, della presenza, dei presidi, riempie di orgoglio. Siamo soprattutto partecipi di questo sogno che stanno vivendo anche loro!”.

Una felicità costellata di tanti momenti importanti come fotografie, che si sfogliano giorno per giorno:

“L’immagine che più mi è rimasta impressa è quella delle donne burundesi piene di una grandissima dignità che per la prima volta si accingevano ad eseguire una ecografia e che, avvisate della possibilità di conoscere il sesso del nascituro, si trovavano davanti a emozioni indescrivibili perché non avevano mai visto un ecografo, non avevano mai visto un’ecografia. Venire a conoscenza del fatto che avrebbero potuto sapere addirittura il sesso del nascituro questo le sconvolgeva da un punto di vista emotivo! E nonostante l’emozione mantenevano una dignità e un rispetto nei confronti del personale sanitario; sono molto rispettosi nei confronti del personale sanitario e straniero. Una volta conosciuto il sesso e finita l’ecografia, si alzavano e andavano via con un sorriso trattenuto che poi esplodeva all’uscita dell’ambulatorio quando incontravano le altre future mamme raccontando: “Ho saputo che il bambino che nascerà è una femmina… è un maschietto…” E lì esplodeva proprio la loro gioia: sapevano di andare a casa e portare notizie che prima sarebbero state impensabili. Queste sono immagini che mi resteranno per sempre”.







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