Nata la prima bambina nell'ospedale Cimpaye, in Burundi, grazie ai fondi della Regione
Sicilia
E’ nata il 7 luglio scorso la prima bambina nell’ospedale Cimapaye Sicilia, in Burundi.
Una grande gioia per i genitori ma anche per il personale della struttura, aperta
grazie alla Fondazione San Raffaele Giglio di Cefalù. L’ospedale è stato costruito
dalla locale diocesi grazie ai fondi della Regione Sicilia in un’area poverissima
dove costantemente le donne muoiono di parto. Il servizio di Benedetta Capelli:
Ci sono due
circostanze che rendono questa storia affascinante. La prima è che la bambina nata
lo scorso 7 luglio si chiama come l’ospedale nel quale ha visto la luce per la prima
volta ossia “Dono di Dio”. La seconda è che la sua venuta al mondo non è stata una
gioia solo per i suoi genitori, al quinto figlio, ma anche per tutta la comunità di
medici e infermieri che in Burundi hanno lasciato il cuore. Si tratta del personale
del San Raffaele Giglio di Cefalù, che da tempo compie missioni sanitarie per supportare
i loro colleghi africani e portare materiale, donato anche da altri ospedali siciliani,
una cosa non scontata di questi tempi. Una felicità partita dunque da uno dei Paesi
più poveri al mondo e arrivata fino al sud Italia. Il presidente del San Raffaele
Giglio, Stefano Cirillo:
“Una grande emozione perché raccogliamo
finalmente un risultato dopo un paio di anni spesi a lavorare per questo progetto
umanitario. Questo era un progetto già iniziato da altri, rimasto un’opera incompiuta,
in Burundi - un’area tra le più povere del mondo - dove la mortalità infantile, neonatale
e materna è tra le più alte. Un’area assolutamente non coperta dal punto di vista
sanitario, quindi, l’aver completato un ospedale, averlo arredato, averlo reso fruibile
prima con attività ambulatoriali, oggi anche con quelle chirurgiche - con una sala
parto ed una sala operatoria - per noi è un grande risultato”.
Tutto inizia
con un incontro avvenuto a Roma nella sede della Fao. In quell’occasione il presidente
del Burundi chiese aiuto a Stefano Cirillo nell’organizzazione della sanità del Paese.
Poi la partenza di una missione del San Raffaele Giglio, la scoperta di un ospedale
non completato e la decisione di ripartire da quelle mura. Ancora Stefano Cirillo:
“Esistono
soltanto capanne e si raggiunge l’ospedale a piedi, dopo ore di cammino. Noi abbiamo
avuto questa opportunità all’inizio di giugno - volendo provare ecografi e volendo
addestrare un po’ di personale medico e gli infermieri - e nel tentativo appunto di
far venire qualche persona, ci siamo trovati dietro la porta dell’ospedale centinaia
di donne gravide che erano venute a piedi da tutte le campagne facendo ore ed ore
di cammino. Bisogna ricordare che questa è un’area dove non esiste assolutamente niente,
dove c’è povertà assoluta. Noi vogliamo dare loro una speranza su un’assistenza, che
diventa anche molto spesso la soluzione alla sofferenza e soprattutto la possibilità
di salvare tante mamme. Per quanto riguarda la mortalità materna - postpartum o intrapartum
- mentre da noi muore di parto una donna ogni 100mila, là muore una ogni 100. C’è
una bella differenza”.
Molte le persone coinvolte in questa missione e
tra di loro c’è il dott. Rosario Squatrito:
“Da un punto di vista
umano è un’esperienza estremamente importante perché è un Paese molto difficile con
una realtà molto complessa che però ci ha accolto in maniera affettuosa e soprattutto
con un grande bisogno. Dal punto di vista professionale è stata anche un momento di
scommessa perché in un Paese in cui veramente tutto è molto più complesso tutto è
reso difficile dalla logistica, dalla cultura e dall’assenza di molte risorse fondamentali,
essere medico in una realtà del genere assume ancora di più un ruolo estremamente
importante e interessante anche per noi. Non abbiamo intenzione di sostituirci ai
loro medici e ai loro infermieri ma vogliamo rendere i loro medici e i loro infermieri
autonomi nella gestione delle attività e trasferire tutto il nostro supporto per tutto
quello che può essere l’ambito sanitario e organizzativo”.
Appena tornato
dal Burundi Vincenzo Modena, coordinatore infermieristico:
“La mia
attività è stata su due fronti, quello della formazione del personale medico e infermieristico
e quello della logistica, cioè predisporre i locali, i carrelli, gli armadi, tutti
i luoghi di lavoro con tutto il materiale occorrente per le attività che in quel locale
deve essere svolto. Sapere che la bambina è nata all’interno di una struttura che
il sottoscritto, insieme ai compagni, ai colleghi, ha messo a disposizione sia da
un punto di vista delle conoscenze ma anche da un punto di vista fisico, della presenza,
dei presidi, riempie di orgoglio. Siamo soprattutto partecipi di questo sogno che
stanno vivendo anche loro!”.
Una felicità costellata di tanti momenti importanti
come fotografie, che si sfogliano giorno per giorno:
“L’immagine che più
mi è rimasta impressa è quella delle donne burundesi piene di una grandissima dignità
che per la prima volta si accingevano ad eseguire una ecografia e che, avvisate della
possibilità di conoscere il sesso del nascituro, si trovavano davanti a emozioni indescrivibili
perché non avevano mai visto un ecografo, non avevano mai visto un’ecografia. Venire
a conoscenza del fatto che avrebbero potuto sapere addirittura il sesso del nascituro
questo le sconvolgeva da un punto di vista emotivo! E nonostante l’emozione mantenevano
una dignità e un rispetto nei confronti del personale sanitario; sono molto rispettosi
nei confronti del personale sanitario e straniero. Una volta conosciuto il sesso e
finita l’ecografia, si alzavano e andavano via con un sorriso trattenuto che poi esplodeva
all’uscita dell’ambulatorio quando incontravano le altre future mamme raccontando:
“Ho saputo che il bambino che nascerà è una femmina… è un maschietto…” E lì esplodeva
proprio la loro gioia: sapevano di andare a casa e portare notizie che prima sarebbero
state impensabili. Queste sono immagini che mi resteranno per sempre”.