2012-07-11 13:33:33

Egitto: scontro aperto tra presidente e Alta Corte sulla riapertura del Parlamento


Mentre centinaia di migliaia di persone, in gran parte sostenitori dei Fratelli musulmani, esultavano in Piazza Tahrir per il decreto del presidente Morsi per ridare vita al Parlamento, l'Alta Corte Costituzionale annunciava a sua volta la sospensione dello stesso decreto. Il Parlamento, a maggioranza islamista, era stato sciolto dal Consiglio Supremo delle Forze Armate il 15 giugno, dopo che la Corte Costituzionale aveva dichiarato illegittima la legge elettorale sulla base della quale era stato eletto, tra novembre e gennaio, un terzo dei deputati. Del decreto proposto dal presidente e del braccio di ferro in atto tra poteri in Egitto, Fausta Speranza ha parlato con il prof. Claudio Lo Jacono, direttore della rivista Oriente moderno:RealAudioMP3

R. – Io credo che fondamentalmente Morsi abbia cercato di accelerare un processo di “travaso” - diciamo - del potere dall’apparato militare all’apparato civile: chiede cioè una misura che possa agevolarlo nel suo lavoro, perché avere un parlamento che non è schierato sulle sue posizioni, renderebbe il suo lavoro molto, molto complicato. Di fatto il potere, se si va a vedere oltre l’apparenza, è sempre nelle mani dell’apparato militare: il Comitato Supremo delle Forze Armate ha ancora una fortissima capacità di incidere sulla vita politica ed economica del Paese. Perciò il tentativo di Morsi era quello di guadagnare credibilità, ma l’unico modo per farlo era di vanificare la misura che era stata presa dalla Corte Costituzionale egiziana, che aveva dichiarato invalide le ultime prove elettorali.

D. – In ogni caso, tutti questi colpi di scena, che si susseguono in queste settimane cruciali per la transizione in Egitto, sembrano avere lo stesso significato: un braccio di ferro tra presidente e Fratelli musulmani da una parte, militari e potere giudiziario dall’altra. E’ così?

R. – E’ esattamente questo: è ancora una situazione d’instabilità, di fatto, dell’assetto politico istituzionale dell’Egitto. Ci sono ancora in ballo delle decisioni fondamentali di chi comanderà il Paese, di chi lo guiderà. Un momento in cui ci sono due protagonisti, due co-protagonisti: ognuno di questi non vuole cedere del tutto all’altro. Già è stato importante che sia stata accettata la nomina di Morsi, ma l’apparato militare vuole rimanere fortemente in una posizione da cui condizionare gli equilibri e gli assetti del Paese, interni e anche internazionali probabilmente.

D. – In qualche modo nella dialettica della democrazia c’è il compromesso e il braccio di ferro: questa, però, sembra una situazione un po’ diversa in cui alcuni poteri sembrano in bilico…

R. – Certo, perché questo grandissimo cambiamento nel più grande Paese arabo si è mosso tutto sul filo tra insurrezione della piazza e – diciamo – cambiamento istituzionale e costituzionale. La piazza in qualche modo vuole far sentire la sua voce, anche forte dei suoi quasi mille morti avuti durante il periodo di Mubarak. Questo condiziona parecchio gli equilibri, anche perché è una piazza che ha appoggiato per alcuni versi il cambiamento democratico, ma non tutta schierata con Morsi – anche dalle elezioni si è vista questa spaccatura a metà del Paese – e che però sta lì come un convitato e neanche tanto assente. Ogni tanto si raduna, fa sentire che c’è e che vuole in qualche modo un cambiamento in chiave proprio democratica, proprio come la intendiamo noi all’occidentale. E’ una piazza che sta chiedendo questo ed è uno strumento non particolarmente gradito agli apparati istituzionali.







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