Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica
In questa 14.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il passo del
Vangelo in cui Gesù insegna nella sinagoga della sua Nazaret, tra l’incredulità di
quanti lo conoscono. Tanto che non compie alcun prodigio: guarisce solo pochi malati.
Gesù dice ai suoi concittadini:
«Un profeta non è disprezzato se non nella
sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua».
Su questo brano evangelico
ascoltiamo il commento del padre carmelitano Bruno Secondin, docente emerito
di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:
Cinque domande
a raffica oggi nel Vangelo per mostrare tutta la diffidenza dei compaesani di Nazareth
verso il giovane rabbì Gesù. Si salta dalla meraviglia alla incredulità, anzi Marco
parla addirittura di “motivo di scandalo”. Non è possibile, anzi è assurdo che un
figlio di carpentiere, con una famiglia normale, parentela a tutti nota, possa essere
profeta e compiere dei prodigi con le sue mani callose. Impossibile che Dio sia tanto
normale, umile, debole: tranquillamente uno come noi. Gesù era fin troppo normale,
non poteva essere profeta di Dio: ne resta sorpreso Gesù stesso per tanta ostinazione.
Ma vuole lo stesso fare qualcosa per i suoi paesani: stende le mani sulla carne ferita
dei malati e li guarisce. E poi se ne va deluso. Ma i cuori restano chiusi e diffidenti:
la normalità diffida della profezia, se non è ammantata di clamore e splendore. Eppure
proprio in questa semplicità di legami e lavoro, in questa cerchia di familiarità
allargata, Dio ha voluto rivelarsi, ha voluto abitare tra noi, seminare sapienza e
aprire gli orizzonti. Perché vogliamo sradicare Dio dalla vita, dalle relazioni di
lavoro e di famiglia, dalle strade quotidiane che percorriamo? La nostra fede è basata
proprio sulla rivelazione di Dio che si fa corpo di fraternità.