Elezioni a Timor Est: se emerge stabilità, i Caschi blu potrebbero ritirarsi dal Paese
Circa 600 mila abitanti di Timor Est sono stati chiamati alle urne oggi per scegliere,
tra i candidati di 21 partiti, il nuovo Parlamento. Un voto cruciale perché se emerge
stabilità nel Paese, che ha festeggiato dieci anni di indipendenza a maggio, l’Onu
potrebbe decidere il ritiro dei Caschi blu. L’Onu ha aiutato la transizione verso
l'indipendenza dall'ex colonia portoghese perché il Paese era vittima di lotte interne
per il potere. Nel Paese, il 41 per cento della popolazione vive sotto la soglia di
povertà e c’è un allarmante tasso di disoccupazione tra i giovani. Su questo voto,
Fausta Speranza ha intervistato Fabrizio Dal Passo, docente di storia
all’Università La Sapienza:
R. – Essere
una piccolissima isola - anzi una parte di isola - in un arcipelago formato da altre
isole controllate dall’Indonesia o comunque da altre potenze, tra cui anche la vicina
Australia, ha creato l’interesse specifico per questo tipo di area. Una piccola area,
però influente ed importante, giocata su questo “chiaro-scuro” di presenza religiosa
contrastante tra i tanti cristiani sull’isola e la maggioranza musulmana di tutta
la macro area circostante.
D. – Come fotografare lo status quo raggiunto in
questo momento?
R. – Uno status quo molto difficile: i Caschi blu sicuramente
hanno dato un sostegno importantissimo, per garantire l’indipendenza e per garantire
il peacekeeping nell’area. Chiaramente, però, dall’inizio di questo secolo – dal 1999
al 2000, fino al 2002 quando è stata riconosciuta l’indipendenza – c’è stata una violenta
guerra civile, che ancora non è del tutto terminata, ha degli strasichi. Quindi, credo
che con difficoltà si stia pensando di smobilitare l’area ma non sono convintissimo
che questo aiuti una vera pacificazione sociale. Questo conflitto sicuramente non
terminerà del tutto, dal mio punto di vista, neanche con delle elezioni a grande maggioranza
favorevoli all’attuale compagine presidenziale. Questo conflitto, però va fatto rientrare
nell’ambito dell’attività Onu, in un più ampio contesto di problematiche internazionali.
In sostanza, che cosa viene fuori: a parte Timor Est, pensiamo anche alla Siria, ad
altre aree più vicine a noi – il vicino Oriente, il Nord Africa, come anche altre
aree in Africa ed in Asia - sono in qualche modo le increspature di un sistema globalizzato,
che sta mostrando delle falle. In un contesto internazionale di grande, improvviso,
cogente interesse – pensiamo all’Iraq, al Kuwait o ad altre aree ancora – la comunità
internazionale è spinta sicuramente da motivazioni molto più forti ed immediate verso
queste emergenze. Timor Est, ma potremmo fare l’esempio anche della Bosnia, del Kosovo
- basta essere aggiornati e vedere quello che accade - ci rendiamo conto che sono
aree molto meno influenti e che vengono un po’ lasciate alla mercé di scontri etnici
e religiosi, a volte anche cruenti – pensiamo al Rwanda – che lasciano degli strascichi
per molti e molti anni.
D. – Quindi diciamo che Timor Est è stata un po’ dimenticata?
R.
– Credo di sì. Secondo me, l’attività di peacekeeping, anche se è stata molto ben
portata avanti dall’Onu – questo è innegabile – non ha avuto la possibilità effettiva
di creare un sistema, una struttura stabile di potere, in grado di garantire se stessa.
D.
– Che cosa in questi anni, però, è maturato. Qualche passo avanti lo vede?
R.
– Io mi permetto di portare una piccola testimonianza come docente: uno studente che
proveniva da Timor Est mi ha molto colpito, perché non soltanto aveva una grande preparazione
sulla storia europea, ma esprimeva l’idea di speranza spinta da una fede cristiana
profonda che mi ha molto colpito. Lui è convinto che la sua popolazione alla fine
ce la farà, e altri come lui, proprio perché spinta da un comune sentire e da una
volontà di miglioramento delle condizioni di quel posto che – ripeto - da secoli ha
conosciuto una serie ininterrotta di dominazioni e di schiavitù da parte di grandi
potenze, come furono l’Olanda, il Portogallo ma anche in tempi più recenti con l’Indonesia.