Vigilia di elezioni in Libia, le prime dopo l'era Gheddafi
Vigilia di elezioni in Libia all’insegna della tensione, le prime dopo l'era Gheddafi.
Alcuni manifestanti hanno bloccato il terminal petrolifero di Ras Lanouf in segno
di protesta contro la ripartizione dei seggi all’Assemblea Nazionale. Domani quasi
tre milioni cittadini sceglieranno i 200 membri del Congresso che avrà il compito
di scrivere la nuova Costituzione. Più di tremila i candidati ammessi, la maggior
parte si presenta come indipendente, in corsa anche 630 donne, solo il 3,4% del totale.
Diviso il fronte islamista mentre spicca l'Alleanza delle Forze Nazionali di stampo
liberale e filo-occidentale. Intanto Amnesty International ieri ha lanciato l’allarme
per il Paese dopo le numerose azioni delle milizie armate che ancora non sono confluite
nelle forze di polizia. Ma quali sono le insidie che si nascondono dietro il voto
di sabato? Benedetta Capelli ha girato la domanda a Arturo Varvelli,
ricercatore dell’Ispi, Istituto per gli studi di politica internazionale:
R. – Le insidie
sono – direi – tantissime. E’ certo una grande opportunità, se pensiamo che la Libia
non andava ad elezioni libere o quasi libere dai primi anni Cinquanta. Quindi da una
parte una grandissima opportunità, ma – dall’altra parte – la scarsa conoscenza delle
dinamiche democratiche e la scarsa partecipazione sociale e civile alla gestione del
Paese fanno capire quante sono le insidie. Le insidie potrebbero essere numerose:
da chi di fatto potrebbe boicottare le elezioni, ci sono già partiti in alcune aree
– penso alla Cirenaica e a Bengasi, in particolare, ma anche al sud del Paese dove
la situazione è ancora fuori controllo dal punto di vista della pacificazioni. Ci
potrebbero poi essere anche gruppi che potrebbero tentare attacchi – seppur limitati
– di forma terroristica. Le incognite sono veramente tante!
D. – Tra l’altro
è di oggi un Rapporto di Amnesty International che dice: chi vincerà le elezioni rischia
di commettere gli stessi abusi. E’ un pericolo reale questo?
R. – Certo, è
un pericolo reale. Noi già lo vediamo: di fatto i ribelli si sono costituiti in milizie,
che hanno sconfitto il regime di Gheddafi, hanno una gestione del potere sul territorio
che non è molto dissimile da quanto faceva in passato Gheddafi. Non vi è un monopolio
dell’uso della forza da parte dell’autorità centrale, perché ancora queste milizie
non si sono sottoposte all’autorità centrale. Dovremmo vedere se le elezioni costituiranno
un elemento importante per legittimare nuovamente l’autorità centrale. L’autorità
centrale – il Cnt – è percepito come una autorità provvisoria e con una scarsa legittimità
interna: è un organismo che si è quasi autonominato ed è sorretto più dall’esterno
che non dall’interno. Se i libici ci crederanno, qualcosa potrà cambiare!
D.
– Come mai ci sono tanti indipendenti iscritti nelle liste elettorali?
R. –
La Libia è molto variegata e composita. I localismi – come abbiamo visto – sono prevalsi
nei rapporti sociali e nei rapporti politici all’interno del Paese una volta caduto
il regime. Il regime teneva insieme elementi molto diversi e il cittadino libico riconosce
in sé almeno tre identità: la prima è quella nazionale, che è in buona parte riconosciuta;
la seconda è quella regionale e quindi Cirenaica, Fezzan e Tripolitania; e, l’ultima
è quella naturalmente legata alla tribù, al clan e in particolare alla città. Nei
rapporti politici e nelle formazioni politiche sono prevalsi i localismi: ogni piccola
località si è trasformata in un partito, a parte rare eccezioni. Quindi, di fatto,
anche un sistema politico che non ha aiutato ad amalgamare e omogeneizzare e ad unire
i gruppi, ma che di fatto li rappresenta.
D. – In questo scenario così variegato,
quali sono però le formazioni che si propongono come vincitrici di queste consultazioni?
R.
– Se guardiamo ai due Paesi vicini – Egitto e Tunisia – non possiamo non pensare al
fatto che possano prevalere forze legate all’islam, all’islam politico. In Libia bisognerà
capire se prevarranno forze legate all’islam che si rifà alla sharia oppure all’islam
più secolare. La Fratellanza Musulmana libica è presente. Vi sono poi partiti che
sono legati a figure che si rifanno all’islam, come il partito di Ali al-Sallabi,
Hakim Bel Haj, e che sono diffusi in tutto il Paese: anche qui bisognerà vedere quali
saranno i rapporti di forza alla fine delle elezioni. Sicuramente da questa sfera,
dalla sfera cioè dell’islam politico, usciranno i vincitori.
D. – Priorità
assoluta è quella di scrivere la nuova Costituzione: anche qui quali sono i pericoli
che si nascondono nella stesura di un testo così importante poi per il futuro della
Libia stessa?
R. – I pericoli sono naturalmente quelli legati ai diritti civili.
Bisognerà capire quali forze prevarranno: certamente l’islam, ma bisognerà anche qui
capire come finirà all’interno della Costituzione, con quali meccanismi di tutela
dei diritti civili - come noi li conosciamo in Occidente – prevarranno. Sicuramente
è un campo aperto, a cominciare dalla sharia: la Dichiarazione Costituzionale, che
è stata fatta l’anno scorso, vede la sharia come la principale fonte del diritto nel
futuro nel Paese, ma non sicuramente l’unica. Alcuni gruppi islamici hanno già contestato
il fatto che non sia scritto che sia l’unica. Ci sono poi le forze liberali, più liberali
e più progressiste, che io penso faranno una battaglia molto forte per conservare
il Paese sul campo della laicità. Io penso che, tutto sommato, alla fine possa prevalere
questa seconda parte.