2012-07-05 15:39:23

L'Onu approva la prima risoluzione sui diritti umani in Internet


Il Consiglio per i diritti umani dell'Onu ha approvato a Ginevra la sua prima risoluzione per il rispetto dei diritti umani su Internet. Malgrado l'opposizione di Cina, Russia e India, sono state decine le nazioni che hanno appoggiato il testo, che è stato co-sponsorizzato da 85 paesi, 30 dei quali fanno parte del Consiglio. “E' la prima risoluzione delle Nazioni Unite che conferma che i diritti umani nel mondo di Internet devono essere protetti con lo stesso impegno che si mette nel mondo reale”, ha detto ai giornalisti l'ambasciatrice statunitense, Eileen Chamberlain Donahoe. Intanto, è on line la Declaration of Internet Freedom: la petizione, nata due giorni fa, contro i tentativi di legiferare su copyright o privacy, come la proposta di legge (Sopa) negli Stati Uniti o il provvedimento Acta nell’Unione Europea, che però è stato già bocciato ieri dall’Europarlamento. E di privacy in particolare si discute dopo che un giudice negli Usa ha stabilito che il twitter di un ragazzo sia da prendere come elemento processuale in quanto dichiarazione pubblica. I suoi avvocati difendevano la presunta privacy della affermazione. Di libertà e di privacy su Internet Fausta Speranza ha parlato con uno dei massimi esperti di sicurezza informatica a livello mondiale, l’hacker Fabio Ghioni, noto in Italia per il caso Telecom. Oggi è consulente di governi e istituzioni internazionali:RealAudioMP3

R. – Per quanto riguarda la decisione del giudice, se io scrivo un sms a una persona o gli mando una e-mail privata è davvero privacy. E’ una cosa da me a te. Altra cosa se io dico qualcosa in un contesto pubblico, come ad esempio una conferenza. Ecco, diciamo che i social network - come Twitter, Facebook e quant’altro – sono come delle conferenze aperte 24 ore su 24: ci sono un tot di utenti che hanno la possibilità di vedere, senza nessun tipo di restrizione, qualunque cosa una persona pubblica. E, quindi, quando la persona la pubblica, se ne deve assumere la responsabilità, come se la pubblicasse su un quotidiano. Questa non è privacy. Tra l’altro la legge sulla privacy definisce molto chiaramente quale siano le informazioni da tutelare e cioè ci sono tre dati fondamentali protetti: preferenze sessuali, stato di salute e orientamento politico. E bisogna dire che Facebook e Twitter fanno esattamente queste domande e molte persone rispondono! E, dunque, una volta che si è risposto a queste domande, di privacy non se ne può più parlare! E poi bisogna dire che una cosa è la libertà, un’altra è la responsabilità! Se per libertà qualcuno intendesse che io sono libero di andare per le strade con una mazza da baseball e prendere a mazzate le persone, penso che dovremmo ben ragionare…. La stessa cosa vale su Internet: non può essere libertà assoluta. E vale per dichiarazioni, affermazioni che vengono fatte: se una persona le fa, se ne deve anche assumere la responsabilità.

D. –Internet ha aperto orizzonti, ha fatto cadere barriere di spazio e di tempo e dunque si parla tanto della bella libertà che si è presa il mondo di essere più “connesso”. E sembra che nessuno voglia parlare di limiti… però ci dovrebbe essere e ci può essere una forma di controllo, di gestione di Internet?

R. – Il controllo serve a tutelare tutti quegli utenti che usano Internet - come quelli che usano, ad esempio, la Biblioteca del Congresso Americano - per acquisire conoscenza, per espandere le proprie facoltà comunicative in territori dove prima non potevano, per espandere le proprie conoscenze ed eventualmente anche fare business, come effetto collaterale. Una persona che si crea una identità falsa è paragonabile ad una persona che si crea una identità falsa nel mondo reale: come se io andassi in giro con una carta di identità falsa o mi presentassi con false credenziali in un contesto pubblico qualunque. Perché dovrei farlo? Qual è la libertà dentro questo? La libertà, forse, di nascondermi? E’ questa la libertà di cui stiamo parlando? Perché bisogna far anche emergere di quale libertà stiamo parlando: una cosa è la libertà di dire qualcosa e assumersene la responsabilità, una cosa è quella di poter fare qualunque cosa passandola liscia. Questa io non la considero libertà, la considero istigazione a delinquere. Bisogna passare a ragionare da ‘io che posso comunicare’ a ‘io che posso comunicare facendo del male a chiunque’.

D. – Tra il XIV, XV e XVI secolo il mondo cambiava: nuove tecnologie e conquiste coloniali. Di fronte ai cambiamenti, la società si inventava il diritto internazionale, che prima non c’era. Cambiavano le prospettive e, dunque, il diritto non era più solo nazionale. Oggi, di fronte al nuovo mondo del cyber world, ci vorrebbe un nuovo diritto che non può che essere sovranazionale. Ma probabilmente, a parte il tempo e le difficoltà per elaborarlo, ci sono anche interessi in gioco che contrastano…

R. – Internet è a tutti gli effetti una nazione a se stante, perché non può essere un territorio presidiato dai governi nazionali che hanno delle caratteristiche simmetriche. Internet non ha queste caratteristiche e la soluzione a tutto questo è quello di concepire veramente un nuovo territorio e di avere il coraggio di dare nome e cognome a Internet come nuova nazione. Se si trovasse il modo di fare questo, secondo me, ci sarebbero molte meno persone che usano la rete come quel territorio dove fare quello che vogliono, senza assumersene la responsabilità. Ci vorrebbero regole e se qualcuno le viola la prima penalità dovrebbe essere l’espulsione dalla Rete.

D. – Mentre aspettiamo che la società elabori una nuova legislazione per stare al passo con la tecnologia, parliamo di responsabilità personale del singolo utente. C’è in realtà molta irresponsabilità nell’uso di Internet: anche la consegna – per esempio – di dati personali ai social network avviene con estrema facilità, ma non è così indolore come sembra…

R. – No, infatti, non è assolutamente indolore! Una volta che i dati vengono consegnati al social network sono di fatto di proprietà del social network e il social network può farne quello che vuole. Questo vale anche per le foto. Questo è il prezzo che si paga nell’utilizzo – diciamo tra virgolette – gratuito di questi strumenti. Basta ovviamente esserne coscienti, ma la maggior parte delle persone – e secondo me stiamo parlando proprio di una percentuale altissima, che supera addirittura il 90 per cento – non ci pensa proprio, ne è completamente ignara finché non succede qualcosa… Consideriamo che ovviamente costa custodire i dati, trattarli e metterli a disposizione: non lo fanno naturalmente come opera umanitaria, ma lo fanno perché hanno il loro tornaconto. Possono essere messe a disposizione di diverse autorità e interessano moltissimo alle compagnie pubblicitarie. Sono informazioni che loro hanno e le informazioni hanno un mercato, un mercato – tra l’altro – molto florido.







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