Kosovo: piena sovranità da settembre, resta il nodo del Nord
Il Kosovo acquisterà la piena sovranità in settembre, quando cesserà la sorveglianza
internazionale sull'indipendenza proclamata nel febbraio 2008. La decisione è stata
presa ieri a Vienna dal Gruppo internazionale di orientamento (International Steering
Group), del quale fanno parte 25 Paesi che hanno sostenuto l'indipendenza di Pristina,
compresi Stati Uniti e i maggiori Stati membri della Ue. Il servizio di Massimiliano
Menichetti:
Il Kosovo oggi festeggia quella che il premier Thaci ha definito
una "giornata storica", ovvero l’acquisizione, in settembre, della piena sovranità.
Una decisione che corona un percorso iniziato dalla proclamazione dell’indipendenza
nel febbraio 2008 e che ora apre nuovi percorsi al cammino di Pristina. La decisione
dell'Isg comunque non avrà ricadute sulla presenza nel Paese della Forza Nato e della
missione civile europea di polizia e giustizia, che continueranno ad espletare regolarmente
le loro attività. Il premier Thaci ha anche annunciato la presentazione in tempi rapidi
di un piano per la piena integrazione dei serbi. Nel Nord del Kosovo, infatti, la
popolazione è a maggioranza serba, e non accetta la sovranità di Pristina, mantenendo
di fatto proprie strutture parallele di governo. In questo contesto si muove il percorso
per avviare i negoziati di adesione della Sebia all’Ue, condizione necessaria: l’abolizione
di queste strutture parallele e il riconoscimento del Kosovo da parte di Belgrado.
Sul fronte internazionale, sono 91 i Paesi (sul totale di 193 rappresentati all'Onu)
che hanno riconosciuto l'indipendenza proclamata il 17 febbraio 2008 da Pristina.
I principali oppositori all'indipendenza sono Russia e Cina, no anche da Spagna, Grecia,
Romania, Cipro e Slovacchia. Il commento di Francesco Martino di "Osservatorio
Balcani e Caucaso":
R. - Questo
è un passaggio sicuramente importante, dal punto di vista simbolico, soprattutto per
le istituzioni di Pristina. Quanto però il governo kosovaro potrà muoversi liberamente
rispetto ad oggi, è tutto da vedere: sia per quanto riguarda la sicurezza, che resterà
nelle mani delle forze militari internazionali, sia per quanto riguarda la possibilità
di confrontarsi con la Serbia e con l’Unione Europea. Probabilmente i cambiamenti
saranno molto ridotti rispetto ad oggi.
D. - Rimane aperto il nodo con il nord
del Kosovo a maggioranza serba, dove di fatto esistono delle strutture governative
parallele. Questa realtà come si risolve?
R. - Questa è la grande domanda che
al momento rimane senza risposta, ed il passaggio della piena indipendenza formale
non avrà il potere di sciogliere i nodi. Il problema può essere risolto soltanto attraverso
una soluzione congiunta: Belgrado deve essere coinvolta nelle decisioni. C’è da dire
che la popolazione locale è assolutamente contraria a riconoscere l’autorità di Pristina
sul Nord del Kosovo. Probabilmente oltre - e forse più - dell’indipendenza formale
di Pristina, conterà l’atteggiamento del nuovo governo di Belgrado. Nei giorni scorsi,
il mandato è stato posto nelle mani di Ivica Dačić, leader del partito socialista
- che era già stato di Milošević - un partito che da allora è profondamente cambiato,
ma che per la prima volta - dopo 12 anni - riprende il potere. Bisognerà quindi vedere
come il nuovo premier serbo, deciderà di muoversi rispetto alle due grandi questioni
parallele: il Kosovo e l’integrazione europea.
D. – L’eventuale avvio dei negoziati
per l’adesione della Serbia all’Unione Europea, può essere una leva per portare ad
una risoluzione di questa situazione?
R. - La situazione purtroppo è molto
complessa, perché anche all’interno dell’Unione Europea non c’è unità di vedute. In
questo momento, sicuramente centrale è la posizione della Germania, che è stata in
qualche modo lo Stato più severo nei confronti di Belgrado: nel richiedere lo smantellamento
delle strutture presenti nel nord del Kosovo ed in qualche modo a legare il riconoscimento
del Kosovo alle negoziazioni della Serbia per l’ingresso nell’Unione Europea. Però
in questo momento, non si vedono dei cambiamenti possibili a breve termine, che possano
sbloccare la situazione. Quello che conta è la volontà, sia da parte delle élite locali
- kosovara e serba - ma anche soprattutto dell’Unione europea, che è di fatto il facilitatore
delle negoziazioni, per portare a termine un compromesso, che possa essere accettabile
da entrambe le parti. Ultimamente si sono tentate delle soluzioni di forza, per spingere
i serbi del nord del Kosovo ad accettare le condizioni imposte, che però si sono rivelate
inefficaci. La mia opinione personale è che sia necessaria una soluzione di compromesso,
e che le voci di tutte le parti vadano ascoltate.