2012-07-03 12:09:37

I vescovi kenyani: “Non è guerra di religione ma siamo turbati per gli attacchi alle chiese”


“Siamo profondamente preoccupati per gli attacchi mortali contro keniani innocenti all’Africa Inland Church e alla Cattedrale cattolica di Garissa” scrivono i vescovi del Kenya, in un comunicato inviato all’agenzia Fides, firmato dal cardinale John Njue, arcivescovo di Nairobi e presidente della Conferenza episcopale del Kenya. Domenica 1° luglio uomini armati, che si presume siano legati agli Shabaab somali, hanno assalito la cattedrale cattolica di Garissa e la locale chiesa evangelica dell’Africa Inland Church provocando almeno 17 morti e una cinquantina i feriti. “Questi ingiustificati atti di violenza inflitti ai keniani, inclusi donne e bambini, non solo provocano la perdita di vite innocenti ma creano anche un senso di insicurezza tra i cristiani e tutti i keniani desiderosi della pace” afferma il comunicato. I vescovi precisano inoltre: “mentre riaffermiamo il nostro convincimento che non siamo in presenza di una guerra di religione, siamo turbati dal fatto che gli attacchi sono stati condotti contro chiese cristiane. Come Conferenza episcopale del Kenya, chiediamo a tutti i keniani di lavorare per promuovere la coesistenza pacifica”. Nel messaggio si chiede inoltre a tutti di collaborare con le forze di polizia per fermare le violenze e il terrorismo e si richiamano le responsabilità del governo perché conduca indagini approfondite e valuti le condizioni di sicurezza del Paese. La Santa Sede - attraverso il portavoce vaticano padre Federico Lombardi - ha espresso orrore e preoccupazione per gli attacchi. Il servizio è di Salvatore Sabatino: RealAudioMP3

Azioni simultanee e ben organizzate, quelle di ieri a Garissa, che hanno preso di mira la cattedrale cattolica e una piccola chiesa evangelica appartenente all'Africa Inland Indipendent Church; qui l’attacco più feroce, con almeno 16 morti. Momenti drammatici, ripercorsi, in un’intervista all’agenzia Fides, da mons. Paul Darmanin, vescovo di Garissa; uomini armati e mascherati “hanno gettato alcune bombe a mano all’interno dell’edificio – riferisce – con lo scopo di farli fuggire fuori, dove sono stati colpiti con i fucili presi a due soldati uccisi all’esterno della chiesa”. Il vescovo ritiene, inoltre, che la pista più probabile non sia quella religiosa, ma politica: “gli Shabaab – sottolinea – avevano minacciato rappresaglie per le operazioni condotte dall’ottobre 2011 dall’esercito del Kenya in Somalia. Della stessa opinione anche padre Franco Moretti, direttore della Rivista “Nigrizia”, intervistato da Antonella Palermo:

"Ricordiamo che tutta la provincia orientale del Kenya, che è immensa, è occupata da somali. Sono i fratelli, sono i cugini della gente che abita dall’altra parte del confine. Il Kenya ha sempre avuto questo problema: 30 anni fa c’erano i guerriglieri shifta; poi ci sono stati altri guerriglieri, che erano più gruppi di banditi; e ultimamente ci sono gli al Shebaab. Teniamo anche presente che il presidente e i membri del governo del Kenya, tutte le domeniche, appaiono in tv durante la Messa o i riti protestanti. Quindi lo si può capire – non certo giustificare, ma si può capire – questo odio che i somali hanno nei confronti del Kenya, che viene avvertito come una nazione cristiana – metà cattolica e metà protestante. Se una persona dice: l’unico modo per difendermi è compiere atti di terrorismo, gli obiettivi più facili sono le chiese".

Di un "undici settembre infinito" parla il cardinale nigeriano Anthony Olobunmi Okogie. Attentati che avvengono "nell'indifferenza del mondo" - sottolinea in un'intervista al quotidiano La Stampa - e che fanno vivere al continente africano un "martirio senza via d'uscita". ''In Nigeria come in Kenya - spiega - i terroristi hanno finanziatori e sponsor dentro e fuori i confini nazionali.

Già in passato i miliziani islamici somali di Al Shabaab avevano condotto altre azioni terroristiche in Kenya. La città di Garissa ospita un’importante base militare dell’esercito keniano e si trova ad un centinaio di chilometri dall’enorme campo profughi di Dadaab, dove vivono attualmente oltre 450 mila rifugiati somali, in fuga dalla guerra e dalla carestia. Venerdì scorso proprio a Dadaab erano stati rapiti i quattro operatori umanitari stranieri liberati questa mattina in Somalia. Fonti locali annunciano che sono in buona salute e che sono già in viaggio verso Nairobi.











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