Attacchi contro i cristiani in Kenya. Il cardinale Njue: non è guerra di religione
“Atti di violenza ingiustificabile”: così il cardinale John Njue, arcivescovo di Nairobi
e presidente della Conferenza episcopale del Kenya, definisce gli attentati avvenuti
ieri a Garissa. Scenario degli attacchi, la cattedrale cattolica e una chiesa evangelica
della città. Secondo l’ultimo bilancio, i morti sono 17 morti, 50 i feriti. Il porporato
ha riaffermato la propria convinzione che “non si tratta di una guerra di religione”
e a nome di tutti i vescovi ha chiesto ai cittadini “di lavorare per la promozione
di una coesistenza pacifica” collaborando con le istituzioni nella lotta contro il
terrorismo. Dietro le violenze ci sarebbe la mano degli Al Shabaab, gli estremisti
islamici responsabili della destabilizzazione in Somalia. E non è un caso che Garissa
sia distante poco meno di cento chilometri dal Paese del Corno d’Africa. La Santa
Sede - attraverso il portavoce vaticano padre Federico Lombardi - ha espresso orrore
e preoccupazione per gli attacchi. Il servizio è di Salvatore Sabatino:
Azioni simultanee
e ben organizzate, quelle di ieri a Garissa, che hanno preso di mira la cattedrale
cattolica e una piccola chiesa evangelica appartenente all'Africa Inland Indipendent
Church; qui l’attacco più feroce, con almeno 16 morti. Momenti drammatici, ripercorsi,
in un’intervista all’agenzia Fides, da mons. Paul Darmanin, vescovo di Garissa; uomini
armati e mascherati “hanno gettato alcune bombe a mano all’interno dell’edificio –
riferisce – con lo scopo di farli fuggire fuori, dove sono stati colpiti con i fucili
presi a due soldati uccisi all’esterno della chiesa”. Il vescovo ritiene, inoltre,
che la pista più probabile non sia quella religiosa, ma politica: “gli Shabaab – sottolinea
– avevano minacciato rappresaglie per le operazioni condotte dall’ottobre 2011 dall’esercito
del Kenya in Somalia. Della stessa opinione anche padre Franco Moretti, direttore
della Rivista “Nigrizia”, intervistato da Antonella Palermo:
"Ricordiamo
che tutta la provincia orientale del Kenya, che è immensa, è occupata da somali. Sono
i fratelli, sono i cugini della gente che abita dall’altra parte del confine. Il Kenya
ha sempre avuto questo problema: 30 anni fa c’erano i guerriglieri shifta; poi ci
sono stati altri guerriglieri, che erano più gruppi di banditi; e ultimamente ci sono
gli al Shebaab. Teniamo anche presente che il presidente e i membri del governo del
Kenya, tutte le domeniche, appaiono in tv durante la Messa o i riti protestanti. Quindi
lo si può capire – non certo giustificare, ma si può capire – questo odio che i somali
hanno nei confronti del Kenya, che viene avvertito come una nazione cristiana – metà
cattolica e metà protestante. Se una persona dice: l’unico modo per difendermi è compiere
atti di terrorismo, gli obiettivi più facili sono le chiese".
Di un "undici
settembre infinito" parla il cardinale nigeriano Anthony Olobunmi Okogie. Attentati
che avvengono "nell'indifferenza del mondo" - sottolinea in un'intervista al quotidiano
La Stampa - e che fanno vivere al continente africano un "martirio senza via d'uscita".
''In Nigeria come in Kenya - spiega - i terroristi hanno finanziatori e sponsor dentro
e fuori i confini nazionali.
Già in passato i miliziani islamici somali di
Al Shabaab avevano condotto altre azioni terroristiche in Kenya. La città di Garissa
ospita un’importante base militare dell’esercito keniano e si trova ad un centinaio
di chilometri dall’enorme campo profughi di Dadaab, dove vivono attualmente oltre
450 mila rifugiati somali, in fuga dalla guerra e dalla carestia. Venerdì scorso proprio
a Dadaab erano stati rapiti i quattro operatori umanitari stranieri liberati questa
mattina in Somalia. Fonti locali annunciano che sono in buona salute e che sono già
in viaggio verso Nairobi.