Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica
In questa 13.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il passo del
Vangelo in cui ci sono raccontati due segni: Gesù guarisce una donna che aveva perdite
di sangue e riporta alla vita la figlia di Giàiro, che tutti dicevano morta:
“E
subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi
da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo
e disse di darle da mangiare”.
Su questo brano evangelico, ascoltiamo il
commento del carmelitano, padre Bruno Secondin, docente emerito di Teologia
spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:
Un inno al Dio
della vita le due guarigioni raccontate da Marco, quasi incastonandole l’una dentro
l’altra. Sono due esperienze di fede tenace, contro ogni evidenza, contro ogni buon
senso: eppure proprio in quelle situazioni estreme ci sono mani che si protendono
a toccare, suppliche silenziose e audaci, gesti di tenerezza e di bontà senza calcoli.
La donna che non riusciva a liberarsi dall’emorragia cronica era considerata non degna
di stare con gli altri, cioè impura. Eppure si fa audace, almeno toccare la frangia
di quelle vesti che coprono il Maestro. Non aveva possibilità e forse neppure coraggio
di supplicare, di farsi largo fra quella ressa. Ma quel gesto poteva farlo, toccare,
implorare senza parole, ma col cuore in lacrime. “Figlia”, la chiama Gesù: un titolo
bello, bellissimo, di tenerezza. È rinata alla vita, è stata rigenerata dalla sua
audacia, è di nuovo nella pace di una vita sana. E poi quell’altro gesto: prendere
la bimba per mano: “Talità, kum!”. Giovane vita, alzati, torna a danzare, ritorna
alla gioia dei tuoi genitori! E poi si aggiunge: “Disse di darle da mangiare”. Quanta
umanità, quanta tenerezza! Fiducia tenace e tenerezza si sostengono e si completano.
Siano compagne della nostra fede.