Giornata mondiale contro la tortura, una piaga difficile da sradicare
Si celebra oggi la Giornata mondiale contro la tortura, un abominio che, nonostante
il divieto legislativo, continua ad essere esercitato in molti Paesi e spesso dalle
stesse autorità al potere. La tortura si nasconde ma esiste, e fa migliaia di vittime.
Il servizio di Francesca Sabatinelli:
Si condanna,
si persegue, eppure la tortura si insinua ovunque. E’ un crimine contro l’umanità
“democratico”, perché non risparmia nessuno, neanche i bambini, come documentano le
recenti vicende siriane. Ed è un crimine “trasversale”, perché si adotta in Paesi
dilaniati da conflitti, in quelli dominati da dittatura, e anche laddove ragioni di
sicurezza nazionale finiscono con il giustificarlo, umiliando e annullando qualsiasi
documento internazionale sui diritti umani: gli Stati Uniti con i fatti di Abu Ghraib
e Guantanamo ne sono un esempio. L’ultimo rapporto di "Amnesty International" ci dice
che nel 2011 la tortura è stata applicata in 101 Paesi, in molti casi contro chi ha
“preso parte a manifestazioni antigovernative”. Ed è il primo articolo della Convenzione
delle Nazioni Unite contro la tortura, del 1984, a ricordarci che si tratta di un
“atto con il quale sono inflitti ad una persona dolore o sofferenza forti, fisiche
o mentali” per ottenere informazioni, confessioni, per punirla o intimidirla. A ratificare
tale Convenzione sono stati 145 Paesi, tra questi anche l’Italia, che ancora oggi
non ha nel suo ordinamento il reato di tortura, e che è stata messa sotto osservazione
dal Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d'Europa per i trattamenti
riservati dalle forze dell’ordine a chi si trova in carcere, negli ospedali psichiatrici
giudiziari, o in stato di fermo in caserme e questure.
Un impressionante numero
di chi ha subito tortura è costituito dai rifugiati. Si calcola che un rifugiato su
quattro di quelli che arrivano in Italia ne sia stato vittima. Il Consiglio Italiano
per i Rifugiati (Cir), da 16 anni gestisce progetti diretti all’accoglienza e alla
cura di queste persone. In occasione della Giornata mondiale contro la tortura, il
Cir presenta stasera a Roma, al Teatro Quirino, uno spettacolo teatrale, ad ingresso
gratuito, realizzato con alcuni rifugiati. La riflessione di Fiorella Rathaus,
responsabile dei progetti Cir diretti alle vittime di tortura:
R. – Il torturato
spesso è una persona che è stata colpita nel corpo ma anche – e molto spesso – nella
mente. Per questo, noi preferiamo parlare di ferite invisibili. Ed è una persona
che è stata colpita non tanto per carpirle parole e collaborazione – a volte anche
sì, ma è molto più raro – ma piuttosto per ridurre al silenzio lei stessa o la sua
comunità di riferimento. Quindi, possiamo dire che la tortura è soprattutto un mezzo
con cui si tenta di mettere il silenziatore a chiunque si opponga, in qualsiasi modo,
al potere prevalente; la tortura è qualcosa che mira a distruggere l’identità profonda
di chi viene torturato. E purtroppo è esercitata anche in Paesi che noi riteniamo
democratici, non è assolutamente un fenomeno relegato a situazioni estreme, di dittatura,
e gli ultimi anni ce l’hanno dimostrato in maniera prepotente.
D. – La tortura
è anche "tortura di genere", tra le vittime ci sono molte donne…
R. – Esatto.
E su di loro la tortura è esercitata sempre attraverso lo stupro. I fatti della ex-Jugoslavia
ci hanno insegnato che è un vero strumento di guerra. Sul corpo della donna si fa
la guerra tra gli uomini, in un certo modo. Un utilizzo altrettanto drammatico, oltre
che nella ex-Jugoslavia, l’abbiamo visto nel Rwanda, sulle donne tutsi. Fin qui abbiamo
parlato di quando la donna è utilizzata per colpire anche la comunità maschile, ma
anche nei riguardi della donna che in prima persona svolge attività politica o altro
impegno o che viene perseguitata per altre ragioni, la tortura prende sempre e necessariamente
la forma dello stupro.
D. – Quali sono i Paesi di provenienza delle persone
che arrivano da voi?
R. – Al Cir ci capita spesso di incontrare il continente
africano. C’è anche da dire però che in Italia, ad esempio, l’arrivo di richiedenti
asilo dal Sud America è abbastanza scarso. Quindi non vorrei dare una conclusione
reale che dia conto di quello che succede nel mondo. Sappiamo che in oltre 100 Paesi
la tortura è largamente utilizzata, questo è il dato che ci deve preoccupare. E’ utilizzata
anche in Paesi cosiddetti democratici, per cui mi sottrarrei da questa definizione
di quali sono i Paesi buoni e quali quelli cattivi. Per quella che è la nostra esperienza,
abbiamo molte persone provenienti dalla Costa d’Avorio, dalla Repubblica Democratica
del Congo, Paese devastato ormai da anni e che ha visto forme di torture e di violenza
fuori da qualsiasi criterio e riferimento possibili. Esperienze estreme sono avvenute
in Paesi asiatici come l’ Afghanistan, altro Paese devastato. E poi c’è la Somalia.
Davvero, è difficile indicare un inizio e una fine a questo elenco. Ultimamente abbiamo
avuto molte persone provenienti dall’Eritrea che hanno subito torture nel Paese d’origine
ma anche durante il viaggio e durante la permanenza nei centri di detenzione libici.
D.
– Che cosa accomuna le persone che arrivano: l’essere completamente devastate? Annientate
nella loro identità?
R. – Assolutamente sì. Quello che viene fuori è veramente
la totale "esplosione psichica". E questo è l’obiettivo spesso raggiunto della tortura.
Noi vediamo persone con difficoltà estreme. Vedere così da vicino il male, il male
incarnato, il male fatto volontariamente da un uomo su un altro uomo, è un’esperienza
assolutamente indicibile. Devo dire che è un’esperienza che, anche per noi che ascoltiamo
le diverse storie, è devastante e inenarrabile. In realtà, si tenta ancora di utilizzare
parole umane per entrare in un ambito che di umano non ha più niente: è il disumano
puro!
D. – In questi anni – più di 15 – voi avete messo in atto una serie di
azioni a sostegno di queste persone: dall’assistenza legale all’assistenza psicologica...
Che margine di recupero c’è?
R. – Laddove la presa in carico è sufficientemente
precoce, le possibilità di recupero ci sono, ci sono sicuramente. La tortura mira
a distruggere l’identità profonda della persona, il nostro compito è quello di restituire
a queste persone tutto quello che può aiutarle a recuperare questi pezzi di identità
e tutto quello che può aiutarli a rimetterli insieme. Laddove si riesce a intervenire
tempestivamente, in termini di cura medica e psicologica, le possibilità di successo
ci sono e ci sono in modo molto chiaro. Sono ferite che rimangono dentro, seppellite
da qualche parte, il rischio è che possano riaffiorare. Però, nonostante questo, si
può riuscire a raggiungere un livello di vita decente, e questo è quello a cui dobbiamo
puntare. Parlare di totale guarigione, è un po’ teorico. Però, senz’altro assistiamo
a percorsi di recupero che veramente anche oggi, dopo 15 anni, ci tolgono il fiato
e ci restituiscono – per fortuna! – emozioni fondamentali.