Egitto: la sfida democratica dei Fratelli Musulmani, Morsi presidente con il 51,73%
Alla fine in Egitto i risultati ufficiali delle urne hanno dato ragione ai Fratelli
Musulmani. E a Mohamed Morsi, il nuovo presidente egiziano, il primo democraticamente
eletto dopo 30 anni di regime di Hosni Mubarak. Una vittoria ottenuta con il 51,73%
dei voti riconosciuta anche dal rivale politico Ahmad Shafiq e dalla comunità internazionale,
Stati Uniti in testa. Resta tuttavia da risolvere la difficile questione istituzionale
del Paese, che vede il potere legislativo ancora nelle mani della giunta militare.
Sul nuovo assetto della politica egiziana, Stefano Leszczynski ha intervistato
Maria Grazia Enardu, docente di storia delle relazioni internazionali all’Università
di Firenze.
R. – Il Consiglio
supremo militare ha preventivamente sciolto il Parlamento e quindi dovranno o rieleggerlo
o convalidarlo; il Consiglio militare ha anche anticipato, con un forte emendamento,
quello che sarà scritto nella Costituzione: da questo momento in poi, queste forze
dovranno lavorare insieme e soprattutto dovranno posizionarsi in modo migliore quelle
forze centriste moderate, liberali e innovatrici che non sono riuscite a vincere le
elezioni perché erano troppo divise. Però d’ora in poi l’Egitto entra nella democrazia.
D. – La giunta militare, tuttavia, pur congratulandosi e riconoscendo la vittoria
di Morsi ha detto che bisogna lavorare per la riconciliazione. Suona quasi più una
minaccia nei confronti dei Fratelli Musulmani, che sono ancora in piazza, piuttosto
che un invito…
R. – E’ minaccia residua, però, perché l’esercito egiziano tutto
può fare, ma non sparare sulla piazza: qui non siamo in Siria! Inoltre l’esercito
egiziano è tenuto con una sorta di “guinzaglio economico” dagli americani, che vogliono
assoluta stabilità in un Paese che deve essere stabile e poi ricordiamo che anche
il nuovo presidente ha un suo "lato americano": ha studiato negli Stati Uniti, ha
due figli che sono cittadini americani e quindi per essere un Fratello musulmano tutto
è fuorché un islamista senza alcun limite.
D. – Morsi ha parlato subito dell’importanza
dell’Iran e del dialogo con l’Iran per garantire un equilibrio strategico; allo stesso
tempo ha ricevuto gli auguri e i complimenti del presidente Obama. Il nuovo Egitto
potrà essere effettivamente un punto di contatto tra Stati Uniti e Teheran?
R.
– L’Egitto è, nella sua lunga storia e soprattutto nell’ultimo secolo, uno dei Paesi
più importanti, se non il più importante, del Medio Oriente: ha sempre avuto un forte
ruolo di leadership, anche ai tempi di Nasser aveva un ruolo di neutralismo e terzomondismo
che era assai importante. Se l’Egitto - il nuovo Egitto - riuscirà a stemperare alcune
tensioni, a bilanciare il rancore che l’Arabia Saudita ha verso l’Iran e a riportare
l’Iran in un discorso generale, tutti ci guadagneranno e anche gli americani.
D.
– Alla fine, in sostanza, si può dire che è un po’ il paradosso del Medio Oriente
è che la promessa di stabilità arriva proprio attraverso quei partiti islamici che
facevano tanto paura all’Occidente?
R. – I Fratelli musulmani, per essere islamici,
sono molto sui generis: sono egiziani e l’islam egiziano è sempre stato moderato
rispetto ad altre versioni di islam. Quindi non deve farci paura! Inoltre per molti
anni Fratelli Musulmani ed esercito hanno - in qualche modo – trattato, anche quando
i Fratelli Musulmani stavano in galera. Quindi troveranno altre strade, anche perché
l’Egitto ha bisogno di stabilità e i Fratelli Musulmani saranno molto pragmatici.
Questo presidente ha un vantaggio: è un presidente abbastanza anonimo, non è era il
candidato favorito della prima ora dei Fratelli Musulmani, e quindi non ha molto da
pagare al suo passato, ma deve soltanto in qualche modo inventarsi un futuro, soprattutto
per l’economia.
D. – Uno dei nodi che dovrà sciogliere il presidente è anche
quello dei rapporti con le minoranze religiose, in particolare cristiane, presenti
nel Paese. Se la saprà cavare?
R. – Penso di sì. Questo suo aspetto occidentale
depone molto bene. D’altra parte i cristiani sono preoccupati soprattutto da alcuni
aspetti, su cui si può discutere, ma se l’economia dell’Egitto ricomincia a marciare,
tutti ne avranno beneficio e questo alleggerirà automaticamente molte tensioni politiche.
D. – L’Egitto, capofila dei Paesi della cosiddetta “primavera araba”: i Fratelli
Musulmani con questo successo possono sperare anche di allargarsi agli altri Stati
nord africani?
R. – L’Egitto ha sempre avuto una doppia funzione di leadership
più verso il Medio Oriente asiatico, che non verso il Nord Africa in senso stretto.
Però è sempre stato, o perlomeno lo è stato nel periodo Nasser e Sadat, un Paese assai
importante, entrato in decadenza politica – curiosamente – con il Trattato di pace
con Israele. Se manterrà ora questo suo ruolo determinante in modo nuovo, probabilmente
diventerà un Paese leader, anche come esempio verso quei Paesi – come la Siria – che
invece stanno andando in tutt’altra direzione.