Le inquietudini della fede in un libro-intervista con i cardinali Scola e Ravasi
Il trascendente, la fede, la ricerca del fine ultimo dell’esistenza. Questi i temi
del volume “Le inquietudini della fede”, edito da Marcianum Press e presentato
oggi ai Musei Vaticani. Il libro raccoglie una serie di interviste curate dal regista
Salvatore Nocita a grandi personalità del mondo della Chiesa e della cultura ed è
stato ispirato dal suo film “La strada di Paolo”, presentato allo scorso Festival
del Cinema di Roma e prodotto da Officina della Comunicazione e Fai Service, in collaborazione
con il Ponitificio Consiglio della Cultura, "Rai cinema" e Fondazione ente dello Spettacolo.
Sui i temi e le ragioni di questo libro, Michele Raviart ha intervistato mons.
Dario Edoardo Viganò, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo e autore
della prefazione al volume:
R. – Il libro
nasce, a partire dalla produzione di un film, “La strada di Paolo”, di Salvatore Nocita,
e dal desiderio di far riflettere alcuni personaggi sull’idea del cammino, cioè del
viaggio, dell’essere “homo viator”, alla ricerca di qualcuno o di qualcosa. Quindi,
il libro è appunto configurato come un insieme di interviste, che hanno domande molto
simili per tutti gli intervistati, con risposte che muovono su percorsi differenti,
che convergono sull’idea che l’uomo non è un viandante, ma vuole essere un pellegrino;
sono diverse le distanze tra ciascuna persona e il punto di approdo, ma il cammino
è nella direzione giusta.
D. – Quali sono gli interventi che l’hanno più colpita?
R.
– Innanzitutto, due pastori della Chiesa: il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di
Milano, come pure il cardinale Ravasi, uomo di grande cultura. Certo, non ci sono
solo i pastori, e penso a Lucetta Scaraffia, docente universitaria, che in un’intervista
mostra la capacità di leggere dentro la professione della docenza, l’inquietudine
dei giovani e di confrontarla con la propria personale inquietudine. Penso ad un artista
come Roberto Vecchioni o anche ad un non credente, come Salvatore Natoli.
D.
– Il cardinale Scola parla del tormento dell’uomo, capace dell’infinito e costretto
alla finitudine. Il cardinale Ravasi si sofferma sulla necessità dell’uomo di essere
aiutato dall’alto per comprendere il trascendente. Sono queste le inquietudini della
fede?
R. – Le inquietudini sono oggi quelle che muovono il cuore dell’uomo
da sempre, penso al problema del male, al problema della salvezza, al problema dell’incontro,
del “meticciato” di culture, come ama chiamarlo il cardinale Scola; sono le inquietudini
che ciascuno di noi incontra e con le quali deve fare i conti giorno dopo giorno,
appunto la fatica del vivere, mettere insieme questi pezzi di esistenza rispetto ad
un cammino, che nella cultura occidentale è un cammino metafisico, che riconosce il
tempo che passa e gli spazi attraversati come avvicinamento continuo a quel luogo
unico, grande che è il luogo del mistero di Dio, e proprio perché è il luogo del mistero
di Dio è anche il luogo del mistero dell’uomo.
D. – Il libro è stato ispirato
dal film “La strada di Paolo”, una storia ambientata a Gerusalemme, che parla di un
“Paolo” di oggi, del suo viaggio e della sua conversione. Come il cinema può aiutare
a parlare di fede?
R. – Il cinema è una grande storia, sono dei racconti, e
noi sappiamo che quando incontriamo le persone, chiediamo in genere, dopo che entriamo
in confidenza: “raccontami qualcosa di te”. Il racconto è esattamente l’esperienza
in cui ciascuno racconta la propria identità. Quindi, il cinema in fondo racconta
le identità di una cultura, di un popolo, racconta le identità personali. In questo
senso, il cinema è particolarmente fecondo come luogo di confronto e di dialogo con
l’esperienza della fede.