Il vescovo di Mantova, mons. Busti: la visita del Papa ai terremotati segno di
vicinanza e consolazione
C’è grande attesa tra le popolazioni terremotate del Nord Italia, per la visita che
Benedetto XVI compirà martedì prossimo. Se l’Emilia Romagna è la regione più colpita,
molte altre province limitrofe hanno subito danni ingenti, in particolare a chiese
ed abitazioni. Per questo, la visita del Papa è un segno di vicinanza e consolazione
per tutti i terremotati, non solo quelli dell'Emilia. E’ quanto sottolinea il vescovo
di Mantova, mons. Roberto Busti, intervistato da Antonella Palermo:
R. – Vediamo
nel Papa non soltanto la vicinanza di parole o di preghiere, ma una vicinanza concreta,
molto concreta, che con i vescovi abbiamo sperimentata subito dopo l’assemblea annuale
della Cei, quando ha voluto vederci, ha voluto conoscere da noi quello che era successo.
Eravamo solo all’inizio del terremoto, perché la seconda scossa è avvenuta qualche
giorno dopo. Il Papa ha mostrato immediatamente un interesse concreto e ci ha fatto
giungere un suo aiuto particolare, subito, per far fronte alle prime esigenze. Quindi,
è con grande gioia ed anche con grande speranza che dico al Papa “grazie”, perché
viene in questi luoghi, che sono stati tutti, indipendentemente dai confini, coinvolti.
La sua visita, dunque, è di grande aiuto: è una visita di consolazione a tutte le
persone che vivono questo momento di disagio così forte, così triste.
D. –
Il Papa sarà in alcune località colpite, come segno di solidarietà a tutte le zone
toccate dal sisma, tra Emilia Romagna, Lombardia e Veneto, lo vogliamo ricordare...
R.
– La mia diocesi è proprio confinante con l'Emilia Romagna. Tante volte, forse, nell’immaginario
di tutti, la Lombardia termina con il Po. In realtà non è vero, c’è un Oltrepo mantovano
che si spinge proprio direttamente verso queste terre dell’Emilia Romagna. Per esempio,
nella mia diocesi, proprio nell’Oltrepo mantovano, abbiamo addirittura 127 chiese,
più o meno danneggiate, e per alcune di queste si dovrà discutere se tenerle ancora
o purtroppo abbatterle. Non è una cosa da poco abbattere una chiesa! La gente si chiede:
“Ma come? La chiesa in cui sono stato battezzato, la chiesa dove mi sono sposato,
la chiesa dove ho portato i miei defunti non c’è più, non deve esserci più?”. E’ come
toccare il cuore...
D. – Come la Chiesa sta aiutando le persone colpite dal
sisma?
R. – Noi stiamo aiutando, collaborando con i vari campi che la Protezione
Civile ha aperto e che rimangono ancora aperti. La Caritas è lì proprio per l’accompagnamento
diretto della popolazione con i volontari, con attività di ascolto, di animazione
nei luoghi di accoglienza. I nostri oratori hanno preso subito l’avvio per tenere
vicini i ragazzi. Stiamo pensando poi a mettere su dei centri di comunità, con delle
strutture polifunzionali, per le attività sia liturgiche che sociali che ricreative,
e stiamo vedendo di collocarli da una parte e dall’altra con l’aiuto di Caritas italiana.
D.
– Che appello vuole fare ai microfoni della Radio Vaticana?
R. – L’appello
da parte della mia diocesi, ma penso anche di tante altre, è quello di promuovere
– il Papa stesso lo ha suggerito – qualche gemellaggio, il che non significa mettere
a posto tutto, ma dare un aiuto a qualche comunità locale, proprio perché possano,
almeno per prima cosa – è quello che stiamo tentando di fare – riaprire le chiese.
Ecco, chiediamo di sentire questa dimensione di fraternità ecclesiale, che è una fraternità
profondamente umana, perché le nostre strutture sono davvero il rifugio di tutti,
anche di coloro che magari a questo fanno appello poco, ma sanno che in certi momenti
lì possono andare, lì possono trovare una parola, lì possono trovare un aiuto.