Ricostruzione in fase di stallo: lo denuncia mons. Molinari, arcivescovo dell'Aquila
Il recente terremoto che ha colpito l’Emilia e il mantovano, non può farci dimenticare
che c’è un’altra popolazione, in un’altra zona d’Italia, che ancora soffre per l’impossibilità
di ritornare ad una vita normale. Sono passati infatti oltre tre anni dal sisma che
ha sconvolto la città dell’Aquila e numerose località dell’Abruzzo e ancora troppo
poco è stato fatto per quanto riguarda la ricostruzione e la ripresa delle attività
produttive. E’ quanto conferma l’arcivescovo dell’Aquila, mons. Giuseppe Molinari
intervistato da Emanuela Campanile.
R. – Purtroppo
sì, dobbiamo constatare che dopo tre anni sembra che non si muova niente. Solo qualcosa
si è mosso: si stanno ricostruendo le case della categoria A e B e qualcosa della
categoria E. Nella parte più vistosa, importante - il centro storico - le chiese,
i monumenti antichi, tutto quello che è il volto vero della nostra città, sembra che
in tre anni non abbia avuto un cambiamento. Io l’ho detto, l’ho ripetuto ad alta voce,
ho invitato tutti alla concordia e a cercare insieme di raggiungere i veri obiettivi,
quelli ai quali tutta la gente, il popolo, aspira: la ricostruzione, che certamente
ha bisogno dell’aiuto dello Stato, del governo centrale, ma ha bisogno anche di tanta
concordia da parte del nostro popolo, delle autorità che ci governano, degli amministratori
e dei politici, questa coralità d’intenti, questa concordia che purtroppo manca ed
è la nostra grande disgrazia.
D. – A cosa è attribuibile questa situazione
di stallo?
R. – Non è facile racchiudere tutto in una parola. Indubbiamente
ci sono divisioni politiche, ci sono divisioni di altro genere, ci sono purtroppo
gli interessi non sempre limpidi che giocano un ruolo negativo.
D. – In una
comunità che non ha più i suoi punti di riferimento fisici - la piazza, la chiesa...
- cosa è possibile recuperare? Lei parlava di mancanza di unità...
R. – Per
quanto riguarda la nostra chiesa dell’Aquila, io ho toccato con mano che grazie a
Dio le nostre comunità vivono ancora nella speranza, una speranza costruttiva. I punti
fondamentali, i riferimenti fondamentali alla fede non sono venuti meno: la laboriosità
del nostro popolo, la voglia di andare avanti e di ricostruire. Quello che manca,
alle volte, purtroppo, è questo riferimento alla politica, all’amministrazione, a
quei problemi che il popolo non può risolvere da solo.
D. – Ai rappresentanti,
allora, della cosa pubblica che cosa si sente di dire?
R. – Io ripeto ancora
per l’ennesima volta quello che ho detto davanti al Santo Padre, quando venne da noi,
a poche settimane dopo il sisma, il 28 aprile 2009, quando gli dissi: “Santità, preghi
per noi, perché di fronte a queste grandi sfide sappiamo essere uniti e affrontarle
tutti insieme”. L’ho ripetuto ai responsabili della politica, dell’amministrazione
locale, comunale, provinciale e regionale, l’ho ripetuto soprattutto nel primo anniversario
del sisma, quando ho detto: “Questa è un’occasione storica; potete passare alla storia
come gente che ha messo al primo posto il bene comune e ha cercato di realizzarlo
in tutti i modi, cercando la ricostruzione della città, oppure purtroppo rischiate
di passare alla storia come gente che ha cercato solo il proprio interesse e L’Aquila
non ha visto più la propria ricostruzione”.
D. – Come padre di questa comunità
aquilana che cosa vorrebbe allontanare da essa?
R. – Vorrei allontanare questo
spettro della sfiducia, dello scoraggiamento, vorrei che fosse vivo nel cuore un sentimento,
prima di tutto, di solidarietà, di concordia. Sappiamo di essere immersi in una grande
crisi e dentro c’è anche la nostra crisi del post terremoto, però tutto questo non
ci autorizza a rinunciare a impegnarci e a lottare, perché la nostra città possa rinascere.
Questo lo speriamo con tutto il cuore e vorrei dirlo proprio con le parole più affettuose,
più sincere, più forti, anche a tutti coloro che in questo momento hanno in mano il
potere per rendere effettiva questa speranza, per renderla una speranza alla portata
di tutti.