2012-06-20 13:07:36

Giornata mondiale rifugiato: cresce la gente in fuga dai conflitti, Occidente poco sensibile sull'asilo


Ricorre oggi la Giornata Mondiale del Rifugiato dedicata a sensibilizzare l'opinione pubblica mondiale sui cittadini costretti a fuggire dal proprio Paese. Secondo i dati pubblicati dalle Nazioni Unite nel 2011 si stima che almeno 4milioni e 300mila persone abbiano dovuto abbandonare la propria casa per guerre o persecuzioni e anche il numero di coloro che hanno ottenuto l’asilo è cresciuto in ragione dei recenti conflitti in Libia, Somalia e Yemen. Sentiamo Laura Boldrini, portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati nell’intervista di Stefano Leszczynski.RealAudioMP3

R. - Purtroppo un anno record in termini di spostamenti forzati di popolazione: almeno 4 milioni e 300mila persone sono state costrette a fuggire dalle proprie case. La maggior parte di queste persone è rimasta all’interno del proprio Paese, quindi in una situazione di sfollamento interno, mentre 800mila di loro si sono rifugiati nei Paesi confinanti. Questo aumento rispetto agli anni precedenti è dovuto anche alle numerose crisi che sono esplose lo scorso anno, tra cui - vale sicuramente la pena ricordare - la guerra in Libia, la carestia e la guerra in Somalia e la situazione molto turbolenta in Sudan.

D. - Molte persone in fuga dalle guerre, dalle carestie, dalle persecuzioni, finiscono in Paesi dove non c’è la possibilità di chiedere asilo e dove tuttavia trovano un rifugio di fortuna. Qual è la sorte di queste persone, restano bloccate in questi Paesi o riescono a fuggire verso un futuro migliore?

R. - Diciamo che i quattro quinti, quindi una percentuale molto alta, dei rifugiati vive nei Paesi vicini a quello da cui sono fuggiti, quindi rimangono nel sud del mondo. Mi riferisco ad esempio al Pakistan per quanto riguarda i rifugiati afghani, che in Pakistan sono appunto un milione e 700mila. Mi riferisco anche all’Iran, sempre per quanto riguardo gli afghani; anche qui abbiamo circa 900mila afghani. Poi c’è il Kenya, da dove io sono appena rientrata e dove ho visitato il campo di Dadaab che è il più grande campo profughi al mondo con 500mila persone, in questo caso somali in fuga dal loro Paese che ormai dall’inizio degli anni ’90 non trova più una situazione di stabilità. Oggi, il campo di Dadaab rappresenta la terza città del Kenya per numero di abitanti. E’ evidente che i Paesi limitrofi poi si fanno carico di queste situazioni molto di più dei Paesi ricchi e industrializzati.

D. - Una situazione che smentisce completamente quelli che parlano di un’invasione verso l’Europa dei rifugiati, dei richiedenti asilo, e una sorta di terrorismo demografico che poi in alcuni Paesi come la Grecia ha portato all’esplosione della xenofobia e alla vittoria di partiti della destra ultranazionalista. Cosa si può fare per riportare l’equilibrio in questa situazione?

R. - Io penso che sia importante, specialmente per chi fa informazione, mettere tutto ciò in una prospettiva globale. Il fenomeno è essenzialmente un fenomeno globale, non si può guardarlo con la lente di ogni singolo Paese. Un dato significativo, che non si conosce, è che per esempio lo scorso anno nel solo Stato del Sudafrica, quindi un solo Paese africano, sono state avanzate 107mila domande d’asilo; nei Paesi dell’Unione europea arriviamo alla Francia con 52mila domande d’asilo, come primo Paese, con il più alto numero, quindi la metà di quello dello Stato del Sudafrica. Questo fa capire che da noi in Europa c’è molta demagogia sulla presenza dei rifugiati, sugli sbarchi. C’è una demagogia molto pericolosa, che fa vedere nell’altro una minaccia e fa suscitare una sindrome da invasione. I numeri non parlano di questo, la fotografia globale smentisce questa attitudine, smentisce chi grida all’invasione.







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