Giornata mondiale rifugiato: cresce la gente in fuga dai conflitti, Occidente poco
sensibile sull'asilo
Ricorre oggi la Giornata Mondiale del Rifugiato dedicata a sensibilizzare l'opinione
pubblica mondiale sui cittadini costretti a fuggire dal proprio Paese. Secondo i dati
pubblicati dalle Nazioni Unite nel 2011 si stima che almeno 4milioni e 300mila persone
abbiano dovuto abbandonare la propria casa per guerre o persecuzioni e anche il numero
di coloro che hanno ottenuto l’asilo è cresciuto in ragione dei recenti conflitti
in Libia, Somalia e Yemen. Sentiamo Laura Boldrini, portavoce dell’Alto Commissariato
delle Nazioni Unite per i Rifugiati nell’intervista di Stefano Leszczynski.
R. - Purtroppo
un anno record in termini di spostamenti forzati di popolazione: almeno 4 milioni
e 300mila persone sono state costrette a fuggire dalle proprie case. La maggior parte
di queste persone è rimasta all’interno del proprio Paese, quindi in una situazione
di sfollamento interno, mentre 800mila di loro si sono rifugiati nei Paesi confinanti.
Questo aumento rispetto agli anni precedenti è dovuto anche alle numerose crisi che
sono esplose lo scorso anno, tra cui - vale sicuramente la pena ricordare - la guerra
in Libia, la carestia e la guerra in Somalia e la situazione molto turbolenta in Sudan.
D.
- Molte persone in fuga dalle guerre, dalle carestie, dalle persecuzioni, finiscono
in Paesi dove non c’è la possibilità di chiedere asilo e dove tuttavia trovano un
rifugio di fortuna. Qual è la sorte di queste persone, restano bloccate in questi
Paesi o riescono a fuggire verso un futuro migliore?
R. - Diciamo che i quattro
quinti, quindi una percentuale molto alta, dei rifugiati vive nei Paesi vicini a quello
da cui sono fuggiti, quindi rimangono nel sud del mondo. Mi riferisco ad esempio al
Pakistan per quanto riguarda i rifugiati afghani, che in Pakistan sono appunto un
milione e 700mila. Mi riferisco anche all’Iran, sempre per quanto riguardo gli afghani;
anche qui abbiamo circa 900mila afghani. Poi c’è il Kenya, da dove io sono appena
rientrata e dove ho visitato il campo di Dadaab che è il più grande campo profughi
al mondo con 500mila persone, in questo caso somali in fuga dal loro Paese che ormai
dall’inizio degli anni ’90 non trova più una situazione di stabilità. Oggi, il campo
di Dadaab rappresenta la terza città del Kenya per numero di abitanti. E’ evidente
che i Paesi limitrofi poi si fanno carico di queste situazioni molto di più dei Paesi
ricchi e industrializzati.
D. - Una situazione che smentisce completamente
quelli che parlano di un’invasione verso l’Europa dei rifugiati, dei richiedenti asilo,
e una sorta di terrorismo demografico che poi in alcuni Paesi come la Grecia ha portato
all’esplosione della xenofobia e alla vittoria di partiti della destra ultranazionalista.
Cosa si può fare per riportare l’equilibrio in questa situazione?
R. - Io penso
che sia importante, specialmente per chi fa informazione, mettere tutto ciò in una
prospettiva globale. Il fenomeno è essenzialmente un fenomeno globale, non si può
guardarlo con la lente di ogni singolo Paese. Un dato significativo, che non si conosce,
è che per esempio lo scorso anno nel solo Stato del Sudafrica, quindi un solo Paese
africano, sono state avanzate 107mila domande d’asilo; nei Paesi dell’Unione europea
arriviamo alla Francia con 52mila domande d’asilo, come primo Paese, con il più alto
numero, quindi la metà di quello dello Stato del Sudafrica. Questo fa capire che da
noi in Europa c’è molta demagogia sulla presenza dei rifugiati, sugli sbarchi. C’è
una demagogia molto pericolosa, che fa vedere nell’altro una minaccia e fa suscitare
una sindrome da invasione. I numeri non parlano di questo, la fotografia globale smentisce
questa attitudine, smentisce chi grida all’invasione.