L’Egitto è in attesa. Aspetta notizie certe sulla morte dell’ex presidente Mubarak,
trasferito dal carcere del Cairo ad un ospedale militare. Aspetta anche la nomina,
domani, del nuovo presidente dopo il ballottaggio di domenica scorsa. Intanto migliaia
di persone sono scese ieri in Piazza Tahir, scandendo slogan contro i militari che
hanno in mano il potere legislativo. Benedetta Capelli:
E’ stata una
notte carica di tensione soprattutto in Piazza Tahir, tornata ad essere il cuore pulsante
delle proteste del popolo egiziano. Migliaia di persone si sono riunite dopo un’alternanza
di voci sull’ex presidente Mubarak, al potere per 30 anni. Ieri pomeriggio, il rais
ha subito due infarti nel carcere di Tora, dove è rinchiuso, è stato anche usato il
defibrillatore. Poco dopo il trasferimento all’ospedale militare di Maadi e immediatamente
si sono susseguiti annunci e smentite. L’agenzia ufficiale di Stato Mena ha parlato
di morte clinica, “coma” secondo gli avvocati di Mubarak, l’ex presidente sarebbe
in vita solo grazie ad un respiratore. Secondo alcuni manifestanti di Piazza Tahir,
le notizie sulla sorte di Mubarak sarebbero una manovra dei servizi segreti per confondere
la gente e manipolarne la volontà. Dichiarazioni che sono il segno di una tensione
crescente, nel pomeriggio proprio Piazza Tahir, riempita dai Fratelli Musulmani, si
era riunita per protestare contro i militari, che hanno concentrato nelle loro mani
il potere legislativo, e hanno sciolto il Parlamento. Misure prese in vista dell'annuncio
del nuovo presidente, previsto per domani. E anche qui alternanza di voci tra Morsi,
dei Fratelli Musulmani, che si è dichiarato vincitore, e l’ex premier Shafiq che ha
fatto altrettanto.
Sulla strategia che stanno mettendo in campo i militari
in Egitto, Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento del prof. Massimo
Campanini, docente di Storia dei Paesi islamici all’Università di Trento:
R. - Sin dall’inizio,
i militari hanno cercato di condizionare il processo rivoluzionario e hanno cercato
di incanalarlo in binari che fossero di difesa del vecchio regime e delle vecchie
strutture di potere. Quello che stanno facendo i militari è un vero e proprio colpo
di Stato, che priva la rivoluzione egiziana della sua capacità di modificare effettivamente
le strutture istituzionali e costituzionali dello Stato in nome di una stabilità che
sa di vecchio e di stantio. Questo lascia spazio ai Fratelli musulmani per affermare
- in primo luogo - di essere loro i protagonisti effettivi del cambiamento e di poter
rivendicare la possibilità di agire su quelle leve che potrebbero imprimere allo Stato
egiziano una vera svolta dal punto di vista istituzionale.
D. - Professore,
molti sottolineano che i militari hanno un peso non soltanto politico, ma in realtà
detengono anche dei gangli vitali dal punto di vista economico…
R. - L’esercito
in Egitto è una grande potenza economica, soprattutto dal punto di vista industriale
e commerciale. Quindi, certamente, una delle motivazioni più forti che guidano i militari
è quella di difendere e confermare questo tipo di privilegi.
D. - C’è spazio
per le forze laiche di sinistra in questo contesto?
R. - Direi di no, anche
perché “la Piazza Tahrir” si è svuotata e quelli che erano stati i protagonisti di
quei tumulti che avevano prefigurato la democrazia diretta sono stati superati dalla
forza e dall’evoluzione degli avvenimenti. Forza ed evoluzione degli avvenimenti che
non hanno soltanto un’energia intrinseca, ma che sono - secondo me - assolutamente
determinati dalla volontà popolare. Il popolo egiziano è un popolo fondamentalmente
conservatore e il fatto di aver portato al ballottaggio Shafiq da una parte, che è
un volto del vecchio regime, e Mursi dall’altra, che garantisce una continuità intellettuale,
religiosa, morale con l’anima egiziana, secondo me è assolutamente indicativo che,
se la rivoluzione c’è stata, ha fatto il proprio tempo.
D. - E qual è il ruolo
dei copti?
R. – Stupisce che certe forze interne preferiscano tornare al passato,
piuttosto che rischiare il nuovo. E’ evidente che i copti abbiano timore che una presa
del potere dei Fratelli musulmani trasformi l’Egitto in uno Stato islamico. Però,
rischiare di tornare assolutamente al passato, a un regime di polizia - come era quello
dell’epoca di Mubarak - senza dare una chance ai musulmani moderati di tenere in mano
le redini del governo dell’Egitto, mi sembra una scelta di retroguardia che per il
futuro del Paese potrebbe essere perdente. Forse, se avessero un po’ più di coraggio,
potrebbe essere anche l’occasione di una svolta autentica all’interno della vita politica
del Paese.
D. - C’è l’eventualità, secondo lei, di una nuova Piazza Tahrir,
di nuovi sommovimenti?
R. - Ora, le forze che sono già emerse - cioè i militari
e tutte quei gruppi che sostengono un blocco comunque evolutivo del processo politico
e, dall’altra parte, i Fratelli musulmani - potranno essere loro a occupare la piazza.
Non tanto quei rappresentanti che avevano fatto di Piazza Tahrir un simbolo delle
rivolte arabe nello scorso anno. Io credo che una nuova Piazza Tahrir, come quella
di febbraio-marzo 2011, non la vedremo più.