Aung San Suu Kyi a Oxford: pronta a guidare il Myanmar alla democrazia
Prosegue con larghi consensi il tour europeo di Aung San Suu Kyi che poco fa ad Oxford
ha ricevuto la laurea "ad honorem". Con fermezza, la leader dell’opposizione birmana
si è detta pronta a guidare il suo Paese e a prendere le redini della transizione
democratica in vista delle elezioni del 2015. Domani, a Londra, l’atteso discorso
della leader birmana alle due camere del parlamento britannico. Cecilia Seppia
ha chiesto un commento a Carlo Filippini, esperto di Asia orientale:
R. - Certamente,
il processo di democratizzazione in Birmania sta procedendo e sembra continuare. La
stessa leader ha dichiarato più volte che non pensa che le aperture del governo militare
siano semplicemente un trucco per far togliere le sanzioni imposte sia dall’Unione
Europea, sia dagli Stati Uniti. Gli anni prima delle elezioni saranno anche una dura
prova per la leader della coalizione, in quanto stanno emergendo tutta una serie di
problemi che prima erano in un certo senso compressi e nascosti dalla dittatura militare.
Uno recentemente il trattamento o meglio gli scontri, con parecchi morti, fra la maggioranza
birmana buddhista e una minoranza musulmana proveniente per di più dal Bangladesh
che la popolazione birmana reputa stranieri.
D. – Immaginiamo che arrivi al
potere, che tipo di governo sarà quello di Aung San Su Kyi?
R. - Certamente,
non sarà un governo come lo possiamo pensare in un Paese occidentale, in particolare
come in un Paese europeo. Sarà un governo più paternalistico, non autoritario certamente.
Un governo paternalistico in Asia significa anche un governo che deve prendersi cura
della popolazione.
D. – Sabato scorso, il premio Nobel per la pace era ad Oslo
dopo 21 anni, poi a Dublino per Amnesty International, ancora ad Oxford per la laurea
"ad honorem" e domani ci sarà l’atteso discorso alle due camere del parlamento britannico,
un onore questo riservato di recente al Papa, al presidente Usa Obama: un’accoglienza
davvero speciale quella che l’Europa le ha dato...
R. – Certamente, per l’Europa
ma anche per gli Stati Uniti, rappresenta il segno di una svolta molto profonda e
naturalmente gli europei sono desiderosi che tutto proceda secondo una democrazia
parlamentare, come noi la conosciamo nei nostri Paesi. Da questo punto di vista, è
molto importante il sostegno dei Paesi occidentali i quali, a mio parere, non devono
“strafare” nel senso di non far sembrare Aung San Su Kyi una specie di occidentale
che ritorna nel suo Paese. Il nazionalismo birmano è sempre molto forte: se localmente
la leader dovesse apparire come una occidentale, questo le farebbe perdere un po’
di sostegno popolare.
D. - Il sorriso davanti al dolore, l’abbiamo sempre vista
così… Lei ha dichiarato che quando era agli arresti domiciliari pensava i lavoratori
migranti, alle vittime di traffici umani e ai bambini sfruttati: riuscirà a conciliare
il potere con l’impegno per la difesa dei diritti umani?
R. – Penso di sì.
In generale, su aspetti molto particolari come la minoranza musulmana, il problema
è molto più delicato e non è facile vedere una soluzione come probabilmente tutti
noi vorremmo. Certamente, ci sarà una maggiore protezione per le minoranze e i ceti
più poveri.
D. – In questi giorni, abbiamo letto della commovente storia di
Aung San Suu Kyi praticamente su tutti i giornali. Come viene vista la sua decisione
di anteporre la libertà dei birmani alla sua vita, a quella della sua famiglia, dei
figli, del marito che non ha potuto nemmeno salutare prima della morte?
R.
– Fa parte di un carattere abbastanza particolare, abbastanza eccezionale, direi,
anche in Asia orientale, quello di una vera leader che ha speso e spenderà tutta la
sua vita per il benessere della popolazione. Non è facile trovare una persona che
non ceda a nessun compromesso. Ad esempio, avrebbe potuto molto probabilmente andare
in esilio e vivere una vita molto più tranquilla con molti più godimenti, con molti
più piaceri. Lei ha voluto invece rimanere proprio per modificare il futuro della
Birmania.