2012-06-17 09:45:42

Giornata mondiale contro la desertificazione. A rischio i terreni agricoli dei Paesi industrializzati


Si celebra oggi la giornata mondiale contro la desertificazione, quest’anno dedicata alla tutela del terreno fertile. Ogni anno infatti 12 milioni di ettari vengono persi a causa dell’aridità, influendo direttamente su oltre un miliardo di persone. “L’uso sostenibile dei terreni è un prerequisito indispensabile per garantire la sicurezza alimentare e tutelare le forniture d’acqua”, ha scritto in un messaggio il Segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon. Ma la desertificazione non è un fenomeno che riguarda solamente i Paesi economicamente più deboli, come ci spiega al microfono di Michele Raviart, il professor Giampiero Maracchi, bioclimatologo del Cnr:RealAudioMP3

D. - Per quanto riguarda i Paesi industrializzati, la fertilità - negli ultimi 50 anni - si è ottenuta prevalentemente con i fertilizzati chimici, che rilasciano ossidi e azoto nell’atmosfera e l’ossido di azoto è sei volte più efficace dell’anidride carbonica nel creare l’effetto serra. Quindi bisognerà preoccuparsi di riportare fertilità organica: l’agricoltura del passato si preoccupava della fertilità organica, specialmente attraverso l’uso del letame, che veniva dagli allevamenti di bestiame. Quindi vanno un po’ riviste tutte le tecniche sia per ridurre l’effetto serra, sia per riproporre la fertilità organica.

D. - Questo avviene nei Paesi sviluppati?

R. - Su questo modello si stanno muovendo anche la Cina, l’India, il Brasile, la Russia e quindi sostanzialmente altri tre miliardi di persone, che di rifiuti ne fanno tanti. Come ha detto anche il Papa, due anni fa, “l’agricoltura è il futuro dell’umanità” e io concordo con questa valutazione del Pontefice.

D. - Tecnicamente come avviene il processo di desertificazione?

R. - C’è una desertificazione di origine climatica, che è legata ai fattori limitanti del clima, in particolare all’aridità; ma c’è anche una desertificazione di tipo antropico e cioè dovuta alla cattiva gestione del territorio e questo succede anche in Italia: allora più che di desertificazione, bisognerebbe parlare di degrado del territorio e cioè un territorio che non è più produttivo ai fini agricoli e ai fini naturali.

D. - Le terre aride coprono oltre il 40 per cento della superficie terrestre: come si combatte questo fenomeno?

R. - L’aridità si combatte raccogliendo l’acqua anche in quelle regioni dove piovo poco, con dei mezzi - a volte - anche semplici: è possibile immagazzinare e stoccare l’acqua in vasi; è possibile attingere alle falde; in alcune aree africane c’è addirittura la possibilità di avere dell’acqua a grandissima profondità. Si tratta più di politiche ragionevoli in questo senso, più che di limiti naturali.

D. - Vent’anni fa fu adottata la Convenzione delle Nazioni Unite contro la desertificazione. Come giudica gli sforzi della Comunità internazionale e quali sarebbero le misure da intraprendere a livello planetario?

R. - Da una parte senz’altro in positivo, perché è un elemento che serve anche a sensibilizzare attraverso i mezzi di informazione le popolazioni, i governi; dal punto di vista pratico, francamente grandi risultati non ci sono, finché questi temi non diventano una parte integrante delle politiche dei Paesi, a partire però dai Paesi industrializzati. Tutti questi problemi richiedono obiettivamente modelli diversi.

D. - Quale dovrebbe essere la prima cosa da fare per lottare contro la desertificazione?

R. - Naturalmente la prima cosa da fare è un censimento delle aree che sono più a rischio. La seconda cosa da fare è valutare che tipo di agricoltura c’è in queste aree. Le faccio un esempio pratico: nel nostro Paese, tradizionalmente, per duemila anni si è prodotto frumento, perché? Perché si semina in ottobre-novembre e si raccoglie a giugno e quindi utilizza l’acqua di pioggia e senza spreco d’acqua, perché piove e quindi non c’è la necessità di dover utilizzare le riserve idriche durante l’estate; dal dopoguerra in poi si sono, invece, affermate colture di origine subtropicale - come il mais, il girasole, la soia - che hanno bisogno di tantissima acqua, perché hanno un ciclo estivo e non invernale o primaverile. Bisogna rivedere anche questi modelli di agricoltura.







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