Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica
In questa 11.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il passo del
Vangelo in cui Gesù spiega il regno di Dio con due parabole: è come un uomo che getta
il seme sul terreno, e questo seme germoglia e cresce. Ed è come un granello di senape:
“E’ il più piccolo di tutti i semi … ma, quando viene seminato, cresce
e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli
del cielo possono fare il nido alla sua ombra”.
Su questo brano evangelico
ascoltiamo il commento del carmelitano, padre Bruno Secondin, docente emerito
di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:
Due piccole
parabole, in questo Vangelo, con riferimento al mondo del contadino e alla laboriosità
paziente e modesta. È come se l’anno liturgico, dopo averci portato per le alte vette
delle grandi feste teologiche (Pentecoste, Trinità, Corpus Domini), ora ci riportasse
alla pianura, alla vita semplice, con le sue stagioni e le sue ritualità quotidiane.
Un contadino che semina con gesto largo e generoso, ma che non sa se poi quel seme
germoglierà e soprattutto quale percorso misterioso c’è tra seme gettato e spiga turgida
e matura. Eppure getta il seme e attende.
E poi quell’altra immagine, dei
semi di senape, veramente piccini, quasi invisibili: eppure da lì poi si sviluppa
in arbusto rigoglioso, tanto che perfino gli uccelli possono nidificare fra i suoi
rami. Ecco, “così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme”, dice Gesù, sfidando
i discepoli e le loro attese di cose grandi e spettacolari. Pensare le cose di Dio
in termini di potenza e spettacolo, grandiosità roboante e fosforescenze mondane:
riguarda forse più noi che loro. Non riusciamo a vederci minoranza senza voce, fermento
invisibile, prostrati a terra: ci pensiamo sempre gloriosi e sapienti. E anche Dio
e il suo regno dovrebbero essere così. Cosa ci vuole per tornare al Vangelo?