2012-06-15 16:15:20

La Santa Sede su Rio+20: la vera sostenibilità parte dal rispetto dell'uomo


Il diritto allo sviluppo, a un ambiente sano e al benessere sociale sono “intimamente collegati” alla dignità dell’uomo. Viceversa il mondo sarebbe preda di un tecnicismo senza etica. Lo si afferma nel documento elaborato dalla Santa Sede per la terza sessione del Comitato preparatorio della Conferenza Onu “Rio+20”, dedicata allo sviluppo sostenibile. I contenuti del documento nel servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3

L’edificio poggia su tre pilastri alti, nella loro idealità, e insieme fragili per via delle sabbie mobili del “sottosviluppo” e del “degrado ambientale” che li minacciano continuamente. I tre pilastri – si legge nel position paper della Santa Sede – sono “la crescita economica, la protezione dell’ambiente e la promozione del benessere sociale”. Valori, si riconosce, che hanno fatto la storia del concetto di “sviluppo sostenibile” e gli hanno conquistato spazio nella coscienza civile mondiale, grazie ai vertici internazionali, tra cui quello di Rio de Janeiro di vent’anni fa. Tuttavia, appressandosi la nuova Conferenza di Rio, la Santa Sede intende ribadire il punto di vista dal quale, sostiene, ogni riflessione deve partire: “È l’essere umano – scandisce – che viene per primo”, e senza di lui al centro non può esservi vero sviluppo sostenibile. Non si può, infatti, affidare il processo di sviluppo alla sola tecnica, perché in tal modo esso rimarrebbe senza orientamento etico”, si legge nel documento, che precisa: “È vero che la tecnica imprime alla globalizzazione un ritmo particolarmente accelerato, ma va ribadito il primato dell’essere umano sulla tecnica, senza il quale si rischia uno smarrimento esistenziale e una perdita del senso della vita”.

Dunque, si asserisce, “una tale presa di coscienza deve portare gli Stati a riflettere insieme sul futuro a breve e medio termine del pianeta”, affinché Rio+20 possa contribuire “alla ridefinizione di un modello di sviluppo tanto più significativo quanto più il dibattito che emergerà dalla Conferenza tenderà ad edificare tale modello” su determinati principi. I quali vengono elencati dalla Santa Sede. Tra i primi, “l’accesso ai beni primari” come “il nutrimento, l’educazione, la sicurezza, la pace, la salute”. In quest’ultimo caso, si chiarisce, “va sempre ricordato che il diritto alla salute deriva dal diritto alla vita: l’aborto e la contraccezione sono strumenti che si oppongono gravemente alla vita e non possono essere considerate questioni di salute”. Poi si rimarca la “solidarietà a dimensione universale, capace di riconoscere l’unità della famiglia umana”, la “salvaguardia del creato” dalla quale dipende “la solidarietà intergenerazionale”, che “richiede – si afferma – di prendere in considerazione le abilità delle generazioni future a superare le difficoltà dello sviluppo”, e quindi la “giustizia sociale” e la “destinazione universale non solo dei beni ma anche dei frutti dell’attività umana”.

Gli ultimi punti del documento si soffermano sul principio di sussidiarietà come perno per il rafforzamento “della governance internazionale dello sviluppo sostenibile”, sul ruolo della famiglia, considerata come “ultima linea di difesa del principio di sussidiarietà contro i totalitarismi”, sullo sviluppo sostenibile come “parte dello sviluppo umano integrale” – perché, si dice con chiarezza, “ogni decisione economica ha una conseguenza di carattere morale” – e infine sull’economia “verde”. Questo in particolare, è per la Santa Sede un “ambito di interesse” che tuttavia, si nota, “fatica a trovare una chiara definizione”, pur potenzialmente in grado di “dare un importante contributo alle cause della pace e della solidarietà internazionali”. È “importante – si conclude – che sia applicato in modo inclusivo, orientandolo chiaramente alla promozione del bene comune e allo sradicamento locale della povertà” e impedendo, inoltre, che questo tipo di economia sostenibile “dia luogo a nuove forme di ‘condizionamenti’ del commercio e dell’assistenza internazionale, diventando una forma nascosta di ‘protezionismo verde’”.







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