2012-06-14 14:27:14

Un dipartimento dedicato allo sport: iniziativa del dicastero della Cultura in sinergia col dicastero per i Laici


“Uno sport per l’uomo aperto all’Assoluto”: è il tema di un convegno tenutosi ieri mattina in Vaticano, promosso dal Pontificio Consiglio della Cultura. Nell’occasione, è stato lanciato il nuovo Dipartimento del dicastero, dedicato a “Cultura e sport”, che opererà in stretta collaborazione con la sezione “Chiesa e sport” del Pontificio Consiglio per i Laici, e con la Fondazione “Giovanni Paolo II” per lo sport. Luca Collodi ha parlato di questa inedita iniziativa con il cardinale Gianfranco Ravasi, partendo dall’attualità sportiva dei Campionati europei di calcio:RealAudioMP3

R. - Non sono un tifoso e quindi in questo caso non posso dare un giudizio su questa realtà che però considero certamente significativa per le reazioni che crea. Queste reazioni hanno almeno due volti; da un lato affascina vedere questa tensione che un orizzonte ampio come quello dei tifosi ha nei confronti di queste figure, che sono le figure degli sportivi; ma dall’altro lato impressiona e atterrisce quando si vede la degenerazione che coloro che partecipano al tifo hanno, arrivando fino al punto di dimenticare la propria identità umana.

D. - La Chiesa da tempo si occupa di sport, basta pensare alle parrocchie e agli oratori. Il Pontificio Consiglio della Cultura come si inserisce in questo cammino?

R. - Si inserisce almeno a tre livelli diversi. Il primo è quello di una riflessione di ordine generale sul significato culturale dello sport, essendo una delle grandi esperienze fondamentali dell’umanità. In secondo luogo, si tratta di un fenomeno che coinvolge un numero enorme di persone, soprattutto di giovani, i quali hanno un’esperienza che purtroppo alcune volte è soltanto “sportiva”, soltanto “atletica” e non anche umana come dovrebbe essere e come avveniva nella cultura greco-romana, come avveniva anche nella stessa testimonianza del Nuovo Testamento, quando Paolo parla dello sport per ragioni di tipo ascetico, spirituale e persino teologico. La terza ragione è legata al fatto che nell’interno dell’esperienza dello sport si ha la possibilità di una crescita anche personale, umana, che non è soltanto fisica ma anche interiore e che viene spesso dimenticata, cioè è un momento di educazione. Per queste ragioni è un fenomeno non soltanto pastorale ma direi globalmente umano.

D. - Lo sport oggi è un fenomeno gestito dall’economia più che dalla cultura…

R. - E’ fuor di dubbio che tutta l’esperienza umana ha anche una dimensione concreta e quindi economica, però purtroppo, soprattutto in alcuni sport, dobbiamo dire non in tutti, è diventato ormai la componente dominante, il filo d’oro che unisce quasi tutto l’interesse per certi tipi di sport, pensiamo al calcio. Dall’altra parte però bisogna anche riconoscere che esistono molti altri sport che non sono così vincolati dall’economia. Dobbiamo cercare di far sì che torni ancora l’idea del gratuito, cioè della libera creatività del gioco in tutto il suo splendore, che è tipico, già spontaneo, del bambino quando si affaccia al mondo e comincia a giocare, che è una manifestazione anche di poesia e di creatività.

D. - Oggi chi fa sport vuole vincere. Voi educherete anche alla sconfitta?

R. - La vittoria certamente è un elemento positivo, non dobbiamo considerarla soltanto come una prevaricazione. La vittoria vuol dire da una parte riuscire ad avere una meta alta da raggiungere verso la quale si tende con tutti se stessi ma, dall’altra parte, vincere tante volte è anche soltanto conquistare gradi diversi, non raggiungere l’apice che viene presentato e che è possibile soltanto in alcuni casi. Ed è per questo che allora è indispensabile anche creare l’idea della gradualità, del come è possibile essere nell’interno di una gara partecipando attraverso forme che non comportano la "medaglia terminale" ma che comportano risultati diversi. La vittoria deve sempre unirsi al senso del limite della incompiutezza che ha sempre la creatura umana e che purtroppo non si vuole riconoscere, ed ecco il ricorso al doping, a queste forme artificiose che in realtà devastano sia il concetto di vittoria, sia il concetto di uomo e donna.







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