di P. Paolo Dall'Oglio SJ, fondatore del Monastero Deir Mar Musa Sono profondamente
amareggiato. Mi rifiuto di pensare solo al mio dolore. Penso a questo Paese diviso,
sofferente, ferito a morte. Ai molti giovani in prigione, alle molte persone torturate,
ai giovani in armi sulle diverse trincee, che meriterebbero di vivere in un paese
pacificato, pluralista e democratico. Invece i grandi giochi regionali ne fanno qualche
volta i burattini, a volte gli autori di una guerra civile tremenda. Io la Siria non
la lascio. E' solo il mio cadavere che cammina che lascia la Siria. Resto in Siria
al cento per cento. Abbiamo raggiunto P. Dall'Oglio al telefono a Damasco,
mentre era all’ambasciata libanese per ottenere un visto che lo fa uscire dalla Siria.
Sulla opportunità di lasciare che il Monastero Deir Mar Musa rimanga aperto, anche
dopo l’uscita di P. Dall’Oglio, il gesuita risponde: “Noi rimarremo certamente lì,
fin quando ci sarà possibile. Io ho fiducia, perché i siriani musulmani, prima ancora
dei cristiani, hanno un senso del luogo sacro molto acuto e coerente e quindi un monastero
votato all’amicizia islamo-cristiana viene rispettato ed amato da tutti”. Quanto è
manovrata dall’estero la situazione caotica che c’è in Siria? “La Siria, purtroppo,
è un ‘bubbone’ multiplo delle febbri internazionali. E’ utilizzata come una magnifica
valvola di decompressione regionale. La crisi siriana è il luogo, il palcoscenico
tragico di una contrapposizione regionale sunnita e sciita, che ha già visto il Libano
e l’Iraq sacrificati a questa logica suicida. La Siria è oggi lo spazio di contrasto
più strategico tra la potenza continentale asiatico-russa e la Nato. Ci sono quindi
tutti gli elementi per andare avanti di male in peggio”. Quali sono le contraddizioni
più forti? “Le contraddizioni sono tante, ma la contraddizione qui è tra un Paese
che è stato gestito in modo autoritario per quarant’anni e questa autorità di dittatura
pretende ora di essere il paladino del mondo moderno, della lotta al terrorismo. Si
propone come modernità e fronte contro il terrorismo islamico, perché evidentemente
non ci sono gli elementi per un successo. C’è una lotta mediatica internazionale all’ultimo
sangue, dove si usa il concetto di antiterrorismo per bloccare le aspirazioni di un
popolo alla libertà. Questa immensa menzogna internazionale va negata. Certamente,
e non solo in Siria, c’è una vasta area di estremismo religioso islamico che va curata…
E’ un problema islamico, prima ancora che cristiano, anche se certamente anche cristiano.
Bisogna inventarci delle grandi operazioni di riconciliazione, di ri-educazione, di
dialogo che permettano di levare a questi pesci estremisti l’acqua nella quale nuotano.
Ho scritto a Kofi Annan e gli ho detto: ‘Occupiamoci di questi giovani che vengono
usati dai terroristi e dai criminali, perché se non hanno né lavoro, né speranza,
né prospettiva, cosa volete che altro facciano?’. Trovano chi li impiega e chi li
motiva religiosamente. “La risposta è che la responsabilità internazionale si esprima
radicalmente. Io credo alla non violenza come uno strumento di soluzione di conflitti,
ma quando c’è impegno radicale. Gandhi non ha operato la liberazione non violenta
dell’India coloniale con 300 giovani e forti: sono andati milioni per la strada! Ma
allora dove sono le decine di migliaia di cooperatori internazionali, appoggiati al
cento per cento dalla società internazionale, per la pacificazione non violenta della
Siria? Se ci sono poi dei punti particolari, delle crisi speciali dove è necessaria
un’azione di polizia internazionale, la Chiesa non ha mai detto che l’uso ragionevole,
controllato, proporzionale della forza non sia - a volte - un dovere”. Insomma, padre
Dall’Oglio, parla di guerra civile? “Noi abbiamo parlato di guerra civile un anno
fa esatto. Nel giugno del 2011 ho scritto ai diplomatici una lettera accorata, nella
quale ho detto: ‘Se non vi date da fare oggi, domani raccoglierete i pezzi, senza
poi piangere sul latte versato. I cristiani persi del Medio Oriente saranno stati
vostra diretta responsabilità’. La Francia chiederà al Consiglio di sicurezza dell’Onu
di rendere obbligatorio questo piano di pace di Kofi Annan, ricorrendo al capitolo
della Carta dell’Onu che prevede anche il ricorso all’uso della forza armata a scopo
preventivo. Ci riuscirà? “Io non faccio di mestiere il veggente. Io sono un monaco
che prega per la pacificazione di questo Paese e credo che sia certamente un dovere
stretto, morale, internazionale intervenire quando un Paese, per effetto di tensioni
internazionali, è ridotto alla situazione in cui è ridotta la Siria, ma con proporzionalità,
intelligenza, gradualità, cercando di non far peggio, come si è fatto per un certo
verso in Libia, certamente in Iraq e assolutamente in Afghanistan e altrove. Il dubbio
che armare la Comunità internazionale sia una pessima soluzione rimane e io ne sono
convinto. Prima di fare un intervento armato o pensare un intervento armato solo nei
luoghi in cui più specificatamente si sta verificando un conflitto interconfessionale
di natura civile, prima ancora e solo in queste limitate situazione, permetterei l’intervento
di polizia internazionale”. Sui 400 cristiani intrappolati nel centro storico di Homs,
mentre infuriano gli scontri tra esercito regolare e forze di opposizione, cosa può
dirci? “Ad Homs tutta la città è in una situazione di guerra: i rivoltosi, i rivoluzionari
hanno preso molti quartieri della città, tra cui i due quartieri in cui i cristiani
sono in maggioranza e da dove i cristiani – evidentemente non mobilitati perché non
sono adeguati ideologicamente ad entrare nella guerra armata – sono andati via in
massa. Si sono sentiti tanti numeri, uno dei numeri è 160 mila, questi cristiani usciti
dalla zona di Homs e distribuiti su tutto il territorio nazionale. Alcuni sono rimasti,
ci sono due sacerdoti – uno gesuita e uno siriaco – e un terzo melkita, che si occupano
di aiutare i cristiani rimasti in città, così come della popolazione civile musulmana
intrappolata negli scontri. E’ la popolazione civile che soffre nella guerra. Le bombe
dei carri armati non sanno discernere un musulmano da un cristiano! Le mitragliate
degli elicotteri non sono proiettili intelligenti, che sanno guardare la carta di
identità della gente!”. Quindi non è caccia ai cristiani? “Io non posso escludere
che in Siria agiscano gli stessi gruppi che hanno agito, durante l’occupazione occidentale
in Iraq e che sono riusciti a Bagdad, a Mossul e altrove a rendere impossibile la
vita dei cristiani… Questo non si può assolutamente escludere. La qaeda - per dir
così - è un’organizzazione segreta che agisce come organizzazione segreta per i suoi
propri fini anche all’interno dello spazio rivoluzionario siriano, che non ha un controllo
sulla qaeda come il governo italiano non ha un controllo sulle cellule più o meno
silenti del terrorismo islamico, che possono essere su territorio italiano o europeo.
E’ un problema che supera di gran lunga la questione rivoluzionaria e gli obiettivi
della rivoluzione! I musulmani siriani lo gridano anche davanti ai cadaveri dei loro
figli uccisi: ‘Vogliamo una Siria pluralista e democratica per i musulmani, per i
cristiani, per gli allawuiti, per tutti’. (intervista a cura di Antonella Palermo)