Dare visibilità al dramma dei rifugiati: così padre La Manna, presidente del Centro
Astalli
Tenere alta l’attenzione sui rifugiati e sulle loro condizioni nelle città italiane:
un obiettivo a cui il Centro Astalli dedica, questo pomeriggio a Roma, un incontro
dal titolo “In città, invisibili. Colloquio sulle migrazioni”. L’evento è stato organizzato
in vista della Giornata Mondiale del Rifugiato che si terrà il 20 giugno prossimo.
A sottolineare il dramma dell’invisibilità dei rifugiati lo stesso presidente del
Centro Astalli, padre Giovanni La Manna. Debora Donnini lo ha intervistato:
R. - Se queste
persone, che hanno già pagato un prezzo alto per la loro vita, rimangono invisibili
soprattutto nelle grandi città, corriamo il rischio che l’indifferenza permanga. Permanendo
l’indifferenza, queste persone vengono ignorate anche se di fatto noi riconosciamo
il diritto all’asilo e quindi ci dichiariamo disposti a occuparci di queste persone.
D.
- Come si può uscire dalla condizione di invisibilità, voi come centro Astalli avete
proposte?
R. - I servizi ci offrono l’opportunità di incontrare queste persone.
Noi proponiamo di andare a vedere quelle situazioni indegne per trasformarle e per
offrire opportunità a queste persone che hanno anche la speranza di potersi rimettere
in piedi e avere una vita normale. Sono persone che per le proprie idee o per la loro
fede o per l’appartenenza a particolari etnie subiscono violenze, torture, e sono
costrette a lasciare il proprio Paese per tentare di rimanere vivi e soprattutto avere
una vita dignitosa.
D. - Una delle situazioni più drammatiche al momento è
quella del Sud Sudan. Un flusso crescente di rifugiati dal Sudan e dalle zone di confine
contese sta invadendo il poverissimo Sud Sudan. Si tratta di migliaia di persone che
si stanno riversando nei campi allestiti da Giuba che sono sovraffollati e senz’acqua…
R.
- Il Sud Sudan è una delle situazioni che ci dovrebbe preoccupare; penso anche alla
Siria, al Mali, alla Nigeria… Quello che noi proponiamo è di avviare seri progetti
di reinsediamento che rappresenterebbero anche l’unico strumento degno per eliminare
i trafficanti. Noi sappiamo dove sono i campi profughi. Andiamo, portiamo via le persone
senza che queste, nonostante le grosse difficoltà e violenze che hanno subìto, debbano
rivolgersi ai trafficanti. Il Jesuit Refugee Service in Siria si è attivato per dare
assistenza alle persone che vengono massacrate e che scappano. Nel Sud Sudan c’è appunto
un flusso che va ad aumentare il numero di persone nei campi profughi. Il campo profughi
è comunque una realtà limitata anche nei mezzi che possono dare aiuto concreto e quindi
sfamare quelle persone. Bisogna lavorare per svuotare i campi profughi perché poi,
intorno ai campi profughi, c’è tutta una serie di violenze che persistono.
D.
- A livello europeo quali sono le vostre proposte?
R. - Il primo passo è che
l’Europa deve abbandonare la logica politica di chiusura e di contrasto e fare i conti
con un fenomeno che è inarrestabile: tutte le risorse impiegate negli accordi per
il controllo delle frontiere vengono vanificate di fatto. Chiediamo che quelle stesse
risorse vengano impiegate, a livello europeo, con politiche condivise di accoglienza
dignitosa e di riconoscimento di quelle convenzioni che gli Stati membri hanno firmato:
tutti i Paesi europei devono realizzare una certa unità anche negli standard di accoglienza
e nelle procedure che riguardano il diritto all’asilo politico.