Violenze e morti in Siria. Mons. Zenari: "E' una discesa agli inferi"
Sono ima trentina le persone uccise nelle ultime ore in Siria, negli scontri tra lealisti
e ribelli. Tra le vittime si contano almeno cinque bambini. L'agenzia di stampa Sana
e la tv di Stato hanno riferito stamattina che Al Haffeh e la sua regione sono stati
"ripuliti dalla presenza dei terroristi". Poche ore prima, i ribelli avevano annunciato
di essersi ritirati da quel territorio perché si "risparmiassero" sofferenze ulteriori
ai civili. Violenze si segnalano anche ad Aleppo, Rastan, Idlib, nella regione di
Dayr az Zor. Ma la situazione più drammatica si registra ad Homs, dove circa 800
i civili, 400 cristiani e 400 musulmani, sono rimasti intrappolati nel centro storico,
mentre tutt’intorno infuriano gli scontri. Una situazione estremamente complessa in
tutto il Paese, insomma, come conferma mons. Mario Zenari, nunzio apostolico
a Damasco, il quale sottolinea però che i cristiani non sono più bersagliati di altri.
L’intervista è di Salvatore Sabatino:
R. – Non si
sa quale sarà il futuro della Siria, delle varie etnie, e quale sarà il futuro dei
cristiani. Occorre essere molto, molto vigili. Fino ad oggi direi che i cristiani
condividono la triste sorte di tutti i cittadini siriani: sono sotto i bombardamenti
come i loro concittadini siriani, in questi giorni, soprattutto ad Homs e altrove.
Non direi che ci siano nei loro confronti delle discriminazioni particolari, tanto
meno delle persecuzioni. Bisogna stare attenti e vedere i fatti nella loro verità.
Andrei adagio a paragonare, oggi come oggi, la situazione dei cristiani ad altri Paesi
dei dintorni. Alle volte si paragona con l’Iraq, ma non è da paragonarsi.
D.
– I cristiani possono continuare a fare da ponte, ad aprire un dialogo prima che la
distanza tra le parti sia incolmabile e che si oltrepassi quella drammatica linea
di non ritorno?
R. – Io direi che è proprio la loro vocazione, quella di fare
da ponte, a tutti i livelli. In questo momento agiscono in situazioni molto dolorose,
come per esempio quella di Homs, dove abbiamo dei sacerdoti, dei religiosi, ma anche
in altri posti, e si comportano in modo esemplare, mettono a rischio la loro vita.
Fanno da ponte anche cercando di ottenere un cessate-il-fuoco, di fare uscire delle
persone: donne, bambini, anziani. Abbiamo degli esempi molto belli e molto luminosi.
Un domani, se la situazione lo permetterà, se ci si aprirà alla democrazia, l’occasione
dovrà essere colta al volo, per entrare con persone preparate culturalmente e politicamente
e costruire qualcosa con i principi della Dottrina sociale della Chiesa, che sono
molto apprezzati: la dignità umana, le libertà fondamentali, i diritti umani. Sarà
l’occasione per la costruzione di una nuova Siria, e l’occasione per i cristiani per
dare un contributo specifico. Senza il loro contributo, sarebbe una Siria più povera.
D.
– Il fatto che le Nazioni Unite abbiano parlato per la prima volta nelle ultime ore
di guerra civile, come è stata percepita dalla popolazione locale?
R. – Qui
non ho ancora le reazioni. Purtroppo, l’impressione che si ha in questo momento, senza
accennare se tecnicamente si possa parlare di guerra civile, è che umanamente sia
cominciata una discesa agli inferi. Siamo nelle mani di Dio, nelle mani della Provvidenza.
D.
– Quindi, c’è una percezione di un peggioramento della situazione nelle ultime ore?
R.
– Se si guarda quello che sta succedendo, è difficile essere ottimisti. Si spera che
la comunità internazionale possa, come dice spesso Kofi Annan, parlare a una sola
voce, possa mettere ciascuna delle parti in conflitto con le spalle al muro e arrivi
a frenare quella che – ripeto – è una discesa agli inferi.
Un intervento militare
straniero in Siria non sarebbe "la via migliore". Così ha affermato il segretario
generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, in visita diplomatica in Australia. Una
dichiarazione, la sua, che giunge a poche ore dalla forte presa di posizione dell’Onu,
che per la prima volta ha parlato di “guerra civile”. La Lega Araba, da parte sua,
ha condannato fortemente le violenze, mentre la Turchia ha espresso preoccupazione
per il possibile sconfinamento del conflitto sul proprio territorio. Sull’altra frontiera,
quella libanese, si segnala invece la presenza di militari siriani che avrebbero minato
il confine. Tutta questa situazione estremamente confusa potrebbe portare il Palazzo
di vetro a decidere per un’opzione militare? Salvatore Sabatino lo ha chiesto
a Roger Bouchahine, direttore dell’Osservatorio geopolitico mediorientale:
R. – A oggi,
non esiste concretamente alcuna possibilità di un attacco esterno militare, con l’aiuto
di Paesi occidentali o orientali in questo caso. Queste notizie che arrivano in continuazione
da parte della Nato e dell’Onu spesso si basano su eventuali cambiamenti che riguardano
il fronte interno del regime siriano: magari l’arrivo di un generale dell’esercito
con tutto il suo battaglione o magari un eventuale cambiamento all’interno dello stesso
regime, un gruppo del regime scappa in massa… Ci sono tanti scenari possibili, ma
in tutti i casi non è previsto l’arrivo di aerei o di bombardamenti esterni.
D.
– Il piano di pace proposto da Kofi Annan può dirsi definitivamente fallito, a questo
punto?
R. – Sì, fallito perché questo annuncio della guerra civile aprirà un
nuovo scenario: quello dell’arrivo dei jahidisti e dei mujaheddin da tutto il mondo
arabo. Ultimamente diverse fonti – algerine, tunisine – raccontano questi percorsi
di combattenti che partono dal Marocco, e attraversano l’Europa: dall’Olanda prendono
il visto per la Turchia, dalla Turchia attraversano i confini. Sembra che nel Paese
attualmente ci sia un grande reclutamento di un gruppo jahidista, qaedista, in questo
caso, che giocherebbe un ruolo importante in questa guerra civile che sta avvenendo
all’interno della Siria.
D. – Oggi, Russia e Cina, che hanno sempre sostenuto
Damasco, esprimono forti inquietudini per la situazione in atto nel Paese: che ruolo
possono svolgere in questo momento?
R. – Tante analisi e tante informazioni
arrivate nelle ultime 24 ore parlano di un patto fatto con la Russia, per cedere il
passo a un cambiamento di regime: potrebbe forse trattarsi di un allontanamento degli
uomini di Assad e di Assad stesso. E’ chiaro che c’è un patto, non so se sia russo-americano,
non so se sia russo-isiano, ma è chiaro che questo patto dimostra che il cambiamento
è arrivato. Quanto durerà questa situazione? Si parla di sei o sette mesi arrivare
ad un eventuale allontanamento di Assad dal potere, ma non dal Paese. Pian piano,
si dovrebbe formare una nuova Costituente – così la chiamano – per salvaguardare il
Paese da una eventuale guerra civile. Una guerra, quindi, più larga e più estesa.