Padre Lombardi sulle novità della Radio Vaticana: le tecnologie tramontano, la missione
resta
Ha suscitato interesse e numerosi commenti da parte dei media l’annuncio dato ieri
dalla Radio Vaticana sulla cessazione delle proprie trasmissioni in onda media e corta,
a partire dal prossimo primo luglio, per ciò che riguarda le Americhe e la maggioranza
dell’Europa. Il direttore generale dell’emittente, padre Federico Lombardi,
chiarisce le ragioni di questa scelta al microfono di Alessandro De Carolis:
R. – Anzitutto,
vorrei precisare che la Radio Vaticana vive sin dalla sua origine l’aspetto dell’innovazione
tecnologica, grazie a Guglielmo Marconi che l’ha costruita. Sempre quindi, in questi
80 anni, i nostri tecnici hanno seguito con grande attenzione e intelligenza tutti
gli sviluppi delle telecomunicazioni, specie della comunicazione radio, per rendere
la Radio Vaticana uno strumento all’avanguardia in ogni epoca. Ora, ciò cui noi assistiamo
in questi anni è un’accelerazione delle trasformazioni tecnologiche e questo ha sempre
trovato molto attenta la Radio Vaticana. Io sono qui da 22 anni: nei primi anni Novanta
abbiamo cominciato a trasmettere via satellite e dalla fine degli anni Novanta anche
l’uso di Internet è diventato per noi abituale. Tutto questo si è sviluppato gradualmente
e ci ha permesso di essere presenti nel mondo delle comunicazioni con il nostro messaggio
e la nostra missione sulle diverse piattaforme via via in evoluzione. Facendo un bilancio
della situazione, noi vediamo che certe tecnologie – per decenni un punto di forza
della nostra attività – diventano adesso meno essenziali, o perlomeno raggiungono
una parte più marginale del nostro pubblico. Viceversa, la grande parte dell’ascolto
si è spostata o è stata raggiunta con il tempo da altre vie, due in particolare. Una
riguarda la ritrasmissione dei programmi radio: questi non vengono più ascoltati perché
trasmessi direttamente da Roma, ma perché per l’appunto ritrasmessi da moltissime
radio locali o regionali, che utilizzano in diverse lingue e ricevono i nostri programmi
dal satellite o via Internet. Ed è così che la gran parte dei nostri ascoltatori in
varie regioni del mondo ci ascolta attualmente. Inoltre, con l’avvento di Internet
l’ascolto può avvenire non solo nel momento in cui noi trasmettiamo il programma originale,
ma anche “on demand”, cioè a richiesta sul sito web, oppure con il podcast. Tutti
percorsi che si moltiplicano. Questo allora è lo sfondo su cui tale decisione va compresa.
Lo sviluppo di altre vie di comunicazione, le ritrasmissioni da parte di un migliaio
di radio locali nei cinque continenti e lo sviluppo di Internet, che raggiunge lo
scopo di diffondere il nostro messaggio e il nostro servizio, hanno gradualmente preso
sempre più posto rispetto alla trasmissione basata sulle onde elettromagnetiche, emesse
dai centri ubicati a Roma. Possiamo dire che il peso della nostra attività si è spostato
da una tecnologia all’altra, soprattutto per alcune aree del mondo che – com’è noto
– sono più servite da queste tecnologie come lo sono l’Europa e le Americhe rispetto,
ad esempio, all’Africa. La nostra decisione attuale è quella di lasciar cadere un
servizio – che tradizionalmente abbiamo svolto con le onde corte, e per l’Europa anche
con le onde medie – perché non è più necessario. Ed è bene quindi risparmiare risorse
e orientarle diversamente.
D. – In pratica, questo cambiamento come inciderà
sul lavoro giornalistico e tecnico dell’emittente?
R. – Per noi è sempre stato
un punto chiarissimo quello di non licenziare personale e, tanto più in un momento
come questo, è una cosa che prendiamo in considerazione. Tutti i nostri impiegati,
operai, tecnici, giornalisti sono tranquilli da questo punto di vista. Noi non andiamo
avanti per tagli – come hanno fatto tante altre emittenti anche importanti a livello
internazionale – ma andiamo avanti cercando di implementare il nostro servizio e di
utilizzare le nostre risorse in modo ragionevole. Anzitutto, puntando sulla missione
che dobbiamo realizzare e sull’aggiornamento professionale delle persone che lavorano
con noi, e comunque tenendo conto di coloro che lasciano il posto di lavoro per motivi
naturali o contingenti: motivi di età, per altre ragioni o perché si trasferiscono
altrove, poiché tanti nostri redattori sono di altri Paesi. Ci tenevo poi a sviluppare
anche un altro tema: evidentemente, in questa evoluzione tecnologica può anche cambiare
gradualmente il modo, il formato dei nostri prodotti. Come l’avvento dell’Internet
ci ha fatto passare da radio che produceva fondamentalmente audio – programmi audio
nel senso classico – a ente che produce informazione che viene pubblicata anche per
iscritto sul sito web e arricchita da elementi multimediali – quindi non solo audio,
ma anche video, in collaborazione con il Ctv – così anche il modo di diffondere i
programmi potrà variare. Il fatto, per esempio, che adesso si segua un certo palinsesto
con degli ordini temporali molto precisi di successione delle diverse trasmissioni
potrebbe in seguito modificarsi e le trasmissioni, messe a disposizione via Internet,
risulterebbero allora più slegate da un tempo preciso di trasmissione; ciò che non
avviene per la trasmissione classica, che viaggia s onde elettromagnetiche o per il
tramite di un canale satellitare. Dunque, l’organizzazione del lavoro professionale
informativo può anche evolvere in questo contesto, ma attualmente noi continuiamo
a far giungere i nostri programmi – come dicevo – a un migliaio di radio che trasmettono
attraverso canali satellitari precisi e quindi continuerà ad esserci, almeno in questa
fase, un sequenza temporale definita di messa in onda e di trasmissione di programmi.
D.
– Uno degli aspetti che balza agli occhi è certamente la trasformazione che, di qui
in avanti, investirà in modo particolare il Centro Trasmittente di Santa Maria di
Galeria: a 55 anni dall’inaugurazione, che cosa si profila per la struttura?
R.
– Hai fatto bene a ricordare i 55 anni di Santa Maria di Galeria: è uno strumento
straordinario, io vorrei dire un vero gioiello dal punto di vista della tecnica, curato
con estremo amore e intelligenza dalle persone che vi hanno lavorato in questi decenni,
dalle origini fino ad oggi. E’ così ben fatto e ben tenuto che spesso vengono anche
tecnici dall’estero per vederlo ed esprimono generalmente il loro apprezzamento. Questo
strumento era stato voluto da Pio XII per servire gran parte del mondo, in particolare
quelle regioni che erano in difficoltà, dove mancava la libertà religiosa, dove c’erano
pressioni di regimi dell’est dell’Europa sotto il comunismo, ma anche per raggiungere
Paesi più lontani, come la Cina o il Vietnam, dominati dal comunismo, o Paesi controllati
da regimi nei quali mancava la libertà. E’ stato uno strumento preziosissimo, perché
– e questo bisogna ricordarlo molto bene – solo con le onde corte, in gran parte della
storia del secolo scorso, era possibile raggiungere, superando le frontiere, persone
totalmente isolate dal punto di vista mediatico dal resto del mondo. Quindi, è stata
una vera epopea di servizio per tante persone: prima con le onde corte, dal Vaticano
stesso, con strumenti ovviamente meno potenti, e poi da Santa Maria di Galeria. Anche
adesso, nei decenni più recenti, per tanti Paesi in via di sviluppo o poveri o in
difficoltà, noi trasmettiamo con questo strumento parole che sono di speranza per
moltissime persone: penso al continente africano, al Medio Oriente, a tante persone
che vivono in Paesi dove tuttora non c’è libertà religiosa e dove non è possibile
ricevere alcun servizio spirituale o liturgico, per esempio in Arabia Saudita. Questi
sono grandi servizi svolti con lo strumento radiofonico in senso classico. Adesso
però – come ho spiegato prima – diventa meno necessario, soprattutto per certe aree
del mondo e quindi si può ridurre l’attività. E si può anche prevedere, negli anni
a venire, che tale riduzione continui gradualmente man mano che anche le altre parti
del mondo diventino più collegate ai sistemi digitali - come speriamo - e che quindi
la storia, la grande epopea di questo Centro Trasmittente, con tutto il suo servizio,
si avvii verso il tramonto. Questo fa parte della storia umana. Ci sono tecnologie
che hanno un loro arco di vita: si sviluppano, raggiungono l’apogeo e poi gradualmente
sono sostituite da altre. Non c’è assolutamente nulla di drammatico in questo, anche
se naturalmente per chi ci ha lavorato tanto e ci si è appassionato, vive questa fase
con una certa sofferenza, con un certo dispiacere: sono sensibilità che vanno assolutamente
rispettate, ma non c’è in sé nulla di problematico. Piuttosto, soffrirei molto se
fosse un servizio che cessasse per alcune aree del mondo, che venisse abbandonato
o che non servisse più. Ma ciò non è quello che stiamo facendo ora, né quello che
abbiamo intenzione di fare per il futuro. Quindi, conserviamo la nostra gratitudine
e la nostra stima per questo lavoro, che è stato fatto e che era assolutamente insostituibile
per tutti gli anni in cui il Centro di Santa Maria di Galeria ha funzionato a pieno
ritmo. Con la riduzione dell’attività del Centro così come lo abbiamo normalmente
conosciuto – un centro fondamentalmente di trasmissioni a onde medie e a onde corte
– si sta già pensando a una ristrutturazione che, anche se ovviamente con strumentazioni
diverse, renda Santa Maria di Galeria un centro utile per le telecomunicazioni della
Santa Sede e del Vaticano, ad esempio nella forma del “teleporto”, quindi con antenne
che usano maggiormente i satelliti. Oppure con delle basi utili per il servizio in
rete. E’ una cosa ancora da formulare con precisione, ma pensiamo che – anche se con
una veste piuttosto diversa – una realtà di telecomunicazioni a servizio della Chiesa
e della Santa Sede a Santa Maria continuerà a esistere anche in futuro.
D.
– Alcuni commenti sui media hanno fatto un collegamento tra la decisione di ridurre
i tempi di uso dell’onda media e corta e la questione dell’elettrosmog, come pure
hanno parlato dei risparmi sui quali la Radio Vaticana può contare con questo cambiamento.
Come considera queste interpretazioni? R. – Cominciamo da quella del risparmio.
Questa è certamente fondata, nel senso che come tutti sappiamo si vive un’epoca di
difficoltà dal punto di vista economico, quindi di razionalizzazione dell’uso delle
risorse, di risparmio per quanto queste sono possibili. In questa operazione della
riduzione dell’uso delle onde corte e delle onde medie, l’aspetto economico gioca
un suo fattore, perché fa maturare definitivamente una decisione a cui noi, però,
ci eravamo in certo senso preparati nell’arco di 15 o 20 anni, gradualmente, in modo
tale da arrivarvi senza particolari traumi. Un risparmio, in effetti, lo si può considerare
anche piuttosto consistente sia dal punto di vista energetico – perché le trasmissioni
di questo genere consumano molta energia – sia dal punto di vista degli investimenti
nelle strutture, nelle apparecchiature necessarie per queste trasmissioni. C’è una
serie di risparmi a catena, connessa alla diminuzione di un’attività che comportava
strumentazioni potenti, di grandi dimensioni e piuttosto complessa anche dal punto
di vista organizzativo. Non bisogna illudersi che le nuove tecnologie non costino:
questa spesso è un’utopia, si fanno cambiare i computer ogni due o tre anni perché
ne hanno trovati dei migliori. Tuttavia, è vero che vi è un minor consumo di energia
con le nuove tecnologie. Di conseguenza, pensiamo di poter contare su un risparmio
globale significativo già sul bilancio in corso e poi anche sui bilanci degli anni
a venire. Il taglio – o meglio, il risparmio – avviene dunque più sulle tipologie
di comunicazione che non sul personale e sui suoi emolumenti.
D. – E sulla
questione dell’elettrosmog? R. – Per quanto riguarda la questione dell’elettrosmog,
è evidente che se uno trasmette di meno o per un tempo minore – e noi calcoliamo che
quasi il 50 per cento dei tempi di trasmissione verrà ridotto dal Centro di Santa
Maria di Galeria dal 1 luglio – è evidente che ci sono anche meno campi elettromagnetici
nel Centro stesso e attorno a esso. Questo, però, non è il motivo della decisione
di ridurre, perché eravamo già tranquilli di non causare danni a nessuno anche in
precedenza, avendo sempre seguito – cosa che ho dovuto ripetere innumerevoli volte
– sia le raccomandazioni internazionali fino all’anno 2000 sia poi le indicazioni
italiane – molto più restrittive, le più restrittive del mondo – dall’anno 2001 in
poi. Le abbiamo sempre scrupolosamente osservate, come hanno dimostrato le misurazioni
fatte a tempi determinati, d’accordo con le autorità italiane. Non c’era e non c’è
un rischio di danno, per quanto ragionevolmente si può sapere, in base alle conoscenze
scientifiche e alla correttezza di comportamento, e quindi noi abbiamo proseguito
nel nostro lavoro finché il servizio è sembrato essenziale per il compito che avevamo
da svolgere. Adesso, se non è più strettamente necessario, vi rinunciamo. Se altri
sono contenti che questo comporti una diminuzione dei campi, ci rallegriamo con loro.
A noi fa piacere che ci sia della gente contenta. Ribadisco, però, per chiarezza,
che il motivo della riduzione è che non è più necessario per il servizio. Per quanto
riguarda il rispetto della popolazione, noi abbiamo sempre ritenuto che fosse estremamente
importante per noi attuarlo in termini oggettivamente verificabili, in base al rispetto
delle norme e della nostra coscienza professionale. Un’attività in onde corte continuerà
comunque anche dopo il primo luglio e quindi altri campi continueranno a essere generati.
Questi, però, saranno forse minori dei primi e sempre compatibili con le norme che
sono richieste.
D. – In oltre 20 anni di responsabilità ai vertici dell’emittente,
lei ha visto la Radio del Papa letteralmente rivoluzionata dall’avvento della comunicazione
digitale, al punto – come lei da tempo sottolinea, e lo ha ricordato anche poco fa
– da essere trasformata in qualcos’altro rispetto a una radio comunemente intesa.
Quale strada intravede per il suo futuro?
R. – La strada si percorre giorno
per giorno. E’ difficile, dunque, per noi, prevedere cosa sarà fra dieci anni la Radio
Vaticana o un ente di comunicazione simile alla Radio Vaticana. Come io ricordo spesso,
15 anni fa nessuno sapeva cosa potesse essere Internet e oggi la nostra vita è profondamente
segnata da questo. Cosa sarà fra 15 anni, io onestamente non lo so. Noi, però, cerchiamo
di seguire questa evoluzione e l’abbiamo fatto con molta consapevolezza, proprio prevedendo
che un certo tipo di tecnologia poteva tramontare o perlomeno essere meno necessaria
e che quindi dovevamo concentrare l’attenzione sul centro della nostra missione, che
è comunicare il Vangelo, il messaggio della Chiesa nel mondo di oggi, il servizio
che il Papa svolge al mondo di oggi e comunicarlo il più diffusamente possibile con
lingue diverse, ai diversi popoli del mondo. Questo è il nucleo della nostra missione,
ma con quali tecniche, attraverso quali vie questa missione debba realizzarsi è aspetto
che naturalmente può cambiare. Noi ogni giorno dobbiamo essere attenti alle nuove
possibilità e cercare di sfruttarle nel modo migliore per realizzare questa missione.
Nei 20 anni in cui sono stato qui, ho visto veramente cambiare il mondo attorno a
me: gli studi in cui stiamo lavorando sono stati tutti rinnovati e anche il modo di
lavorare da parte dei redattori e dei tecnici si è trasformato. Continuerà a essere
così, necessariamente, nel “Rapido sviluppo”, così come recitava il titolo dell’ultima
lettera di Giovanni Paolo II sugli strumenti della comunicazione sociale. Io non ho
un’immagine precisa di che cosa sarà, si può fare futurologia o esercitare la fantasia.
Io cammino giorno per giorno, cercando di capire cosa accade e quali sono le nuove
possibilità che si schiudono. Per me, è sempre stato importante non giocare tutto
su una strada sola, che magari poi non sarà quella che si svilupperà meglio nel futuro,
ma essere presenti su una certa gamma di vie, naturalmente in base alle risorse e
alle persone disponibili, in modo tale da poter gradualmente aggiustare il tiro e
offrire diverse possibilità allo sviluppo della nostra missione. Certamente Internet
funziona. Ma certamente noi vediamo che la radio in FM può diventare digitale, Dab,
che ci possono essere nuove piattaforme e applicazioni attraverso cui il nostro servizio
messo su web viene diffuso sui telefoni mobili o su altre cose. Tante vie. L’importante
è che noi sappiamo bene cosa dire, che abbiamo chiaro il nucleo della nostra missione,
che siamo convinti di essa, che abbiamo delle buone notizie da dare per l’umanità
– il Vangelo, appunto, la Buona Notizia – e che la nostra preoccupazione cristiana
per il bene di tutti ci motivi a farla arrivare – con telefonino, il computer, l’onda
hertziana – a chi può desiderare di ascoltarle.